Il Perù resta nel caos: a due mesi dallo scoppio delle rivolte, le richieste della piazza restano ancora sospese nell’indecisione politica.
Nonostante siano passati quasi due mesi dallo scoppio delle rivolte in seguito all’arresto di Castillo, il Perù resta nel caos. Le proposte di anticipare le elezioni alla fine del 2023 e di eleggere un’Assemblea costituente che modifichi la Costituzione del 1993, risalente alla dittatura di Fujimori, hanno ricevuto le ennesime fumate nere, dimostrando come le richieste dei manifestanti restino ancora inascoltate. Nel frattempo le rivolte continuano ad imperversare per tutto il paese.
Le richieste della piazza
Il 7 dicembre 2022 la piazza chiedeva a gran voce le dimissioni di Boluarte e la liberazione del presidente Castillo, tratto in arresto e destituito dal Congresso dopo un tentativo di scioglimento dello stesso mediante un “autogolpe“. Da quel giorno le proteste, sorte nel sud del paese, povero e a maggioranza indigena, sono gradualmente arrivate fino a Lima. L’aumentare delle manifestazioni e dei manifestanti incrementava anche le richieste degli stessi. Questi, infatti, sono arrivati a chiedere le dimissioni non solo di Boluarte, ma dell’intero Congresso, oltre all’anticipo delle elezioni entro la fine del 2023 e l’istituzione di un’Assemblea costituente in grado di modificare l’attuale Costituzione, frutto del regime di Fujimori. Infine, una più generica richiesta della piazza riguarda l’esigenza di adottare riforme a favore dei ceti più poveri, dimenticati completamente da Lima, soprattutto negli ultimi anni di pandemia.
Il Perù resta nel caos: la situazione attuale
Allo stato attuale il Perù resta nel caos. Se da un lato la presidente Dina Boluarte sembra accogliere parzialmente le richieste della piazza, presentandole al Congresso per poi ottenere il solito nulla di fatto, dall’altro non ha alcuna remora nel reprimere le proteste con interventi da parte delle forze di polizia tutt’altro che pacifici. Secondo EL país, sono circa 58 i morti nelle proteste. Il giornale riporta la descrizione della morte di un uomo di 55 anni, ucciso il 29 gennaio 2023 a Lima dai proiettili sparati dalla polizia peruviana. La maggior parte delle rivolte fino ad ora sono state pacifiche, di diverso avviso sembra però la reazione repressiva degli agenti. Le manifestazioni, infatti, a parte alcuni casi di incendi a sedi giudiziarie, hanno portato per lo più ad occupazioni di aeroporti, strade, ponti e reti ferroviarie, come ad esempio il blocco simbolico del collegamento con Machu Picchu.
Il commento dell’ambasciatore del Perù
Eduardo Martinetti, ambasciatore del Perù in Italia, ha commentato la situazione attuale, affermando che il voto risulti l’unica soluzione agli scontri che stanno interessando l’intero paese sudamericano. Al tempo stesso però, Martinetti definisce Castillo “golpista“, evidenziando inoltre come nei suoi confronti non ci sarebbe stata nessuna violazione dei diritti umani, al contrario di quanto affermano i manifestanti. Secondo l’ambasciatore, Boluarte sarebbe disposta al dialogo con la piazza, cercando dei punti d’incontro per superare lo stallo dovuto alle rivolte. Per Martinetti la vera ragione del perdurare delle proteste risiederebbe nell’eterogeneità dei manifestanti. Tale circostanza proverebbe come le proteste siano realmente una vera e propria rivolta del popolo e come, quindi, non vi siano dei rappresentanti, legittimati e riconosciuti dalla piazza, che fungano da controparte per un eventuale dialogo.
È davvero la rivolta del popolo dimenticato?
Come la giornalista di Avvenire, Lucia Capuzzi, affermava nell’incontro di approfondimento delle proteste in Perù organizzato dall’ Ispi, Castillo rappresentava quella parte del paese dimenticata, il Perù delle Ande, ancora una volta isolata e schiacciata dall’altra parte della nazione, borghese, i cui interessi tendono a prevalere. La movimentazione popolare è eterogenea, comprende infatti contadini, insegnanti, commercianti, comunità indigene: porzioni diverse di popolazione rese omogenee dall’isolamento politico e dalle notevoli difficoltà affrontate negli ultimi anni di pandemia soprattutto.
Allo stato d’incertezza attuale, non è tanto rilevante comprendere precisamente chi siano gli attori delle rivolte, quanto piuttosto sottolineare come la situazione in cui vive il Perù al momento sia dovuta allo scontro tra interessi del popolo e interessi che del popolo non sono. Come sottolineato da un importante intellettuale peruviano, Héctor Béjar:
“Lo stato peruviano è una barca piena di buchi, che naviga senza bussola e senza capitano. I capitani sono fugaci. Giungono pensando a cosa prendere. È in uno stato di perenne limitazione, in cui non si può fare nulla, perché tutto deve essere contrattato con imprese private”
Affermazioni forti che potremmo trasporre per descrivere l’attualità e le decisioni politiche di molti altri stati dell’America Latina, così come dell’Africa e persino d’Europa.
Prospettive
Il Perù resta ancora nel caos ma, probabilmente, presto le proteste arriveranno ad un epilogo. Questo infatti si raggiungerà entro un breve termine e, se non sarà grazie alla perseveranza e al coraggio dei manifestanti, sarà a causa delle esplicite richieste di garanzie e stabilità per gli investimenti delle imprese minerarie estere che fanno affari in Perù. Chi sfrutta le risorse minerarie peruviane ha anche la forza e l’influenza necessarie a placare le rivolte, non tanto per ottenere un rinnovato ordine nel paese, ma piuttosto per dare continuità ai propri guadagni.
In ogni caso, non rileva chi sia l’attore che darà l’impulso decisivo al riordino di questo caos: ciò che importa realmente è che il popolo non smetta di rivendicare le proprie prerogative, nonostante i morti e la durissima repressione.
La lotta per i diritti, infatti, anche quando non riesce ad infrangere mura di silenzi, è in grado di riecheggiare tra popoli e governanti, generando un suono udibile persino da chi ancora non esiste, da chi, un giorno, verrà.