Di Clara Bassi
Il patriarcato è una conformazione invisibile e terribilmente complessa, radicata nella nostra cultura e nella nostra società. Ne fa parte strutturalmente: quando si parla di patriarcato, si parla inevitabilmente della cultura e della società che ne sono imbevute. Il patriarcato siamo noi, che di questa società facciamo parte e che in questa cultura siamo cresciuti.
Parte della sua funzione è farci credere che non esista. È per questo che tutti noi, intesi come individui, possiamo benissimo vivere una vita intera senza sapere cosa sia il patriarcato e quali siano le discriminazioni al suo interno.
Il patriarcato ci fa credere che sia normale che le donne, a parità di mansione, vengano pagate meno degli uomini; ci fa pensare che le donne siano più portate a svolgere le più tradizionali faccende di casa, o ancora, che spetti a loro la cura dei figli più che al marito.
Il patriarcato ci convince che sia giusto chiamare “mammo” un uomo che svolge semplicemente i suoi compiti di padre, e nello stesso momento, “mammo” diventa una parola quasi dispregiativa, perché gli uomini veri non fanno quello che fanno le donne. Accudire i figli è un “lavoro” da donne, quindi, svilente per il genere maschile.
Il patriarcato ci convince che debba essere l’uomo a portare a casa il salario più alto, perché è lui che deve sostenere economicamente la famiglia. Alla donna è destinato un ruolo subalterno, meno importante. Il patriarcato sono i bambini che si prendono in giro dicendo che quella roba è da femminucce. Fateci caso, quando eravamo piccoli il peggior insulto che ci potessimo rivolgere era “femminuccia”. Come se essere femmine sia il male, un disonore, una vergogna. Come se le femmine fossero deboli e da disprezzare.
Ora che siamo più grandi, il peggior insulto che possiamo rivolgere ad una donna è chiamarla “puttana”, perché l’espediente migliore per far sentire una donna ferita è farla sentire in colpa per la sua sessualità, che invece, dovrebbe essere libera e autodeterminata. Al contrario, uno dei peggiori insulti che potremmo rivolgere a un uomo è chiamarlo “figlio di puttana”, perché bisogna sempre dare la colpa a una donna, in questo, caso alla donna che lo ha generato.
Il patriarcato ci porta a considerare le donne più deboli, meno capaci, più instabili e più emotive degli uomini. Conseguentemente, si arriva a pensare che gli uomini siano più adatti a ruoli importanti o a ricoprire cariche di potere. Il patriarcato ci fa credere che le donne vadano protette da mostri malvagi che girano per strada vestiti di nero al calar del sole, quando le statistiche sulle violenze che le donne subiscono, dicono chiaramente che il 62% degli stupri avviene per mano di un uomo che la vittima conosceva.
Il patriarcato ci porta a dire “proteggiamo le nostre figlie”, quando invece dovremmo urlare forte e chiaro “educhiamo i nostri figli”. Educarli al consenso, al rispetto e alla parità. Invece il patriarcato insinua sempre il dubbio: “ma come era vestita?”, “se l’è andata a cercare?”, “se non avesse accettato l’invito a quella festa…”, quando quello che dovremmo fare dovrebbe essere condannare lo stupratore, senza se e senza ma, e credere per una volta alle vittime di violenza.
Il patriarcato ero io fino a qualche anno fa, quando mi sono resa conto di essere discriminata perché femmina, e ciò ha acceso un campanello di allarme nella mia testa. In ogni diversa cultura, il patriarcato forgia il modo in cui pensiamo, e noi, inconsapevolmente, finché qualcuno non ci fa comprendere che quel che pensiamo ha delle colossali lacune etiche e morali, siamo tutti maschilisti. Siamo tutti figli sani del patriarcato.
Il patriarcato fa parte della nostra cultura, e combattere una cultura vuol dire cercare di far cambiare idea alla gente. Mettere in luce problemi sommersi, invisibili, che come spesso capita, sono enormi ma ignorati dai più per ignoranza o per cecità.
Il patriarcato siamo tutti noi, finché non decidiamo di non sottostare più alle sue regole. Perché come avviane col drammatico sistema mafioso, il patriarcato ha bisogno della (almeno tacita) collaborazione di tutti noi.