I deputati del Partito Democratico attaccano il videogioco Mafia City, reo di trasmettere un’immagine distorta e idealizzata della mafia. Eppure l’attuale maggioranza ha fatto ben poco per contrastare la criminalità organizzata.
Negli scorsi giorni ha fatto molto discutere la decisione di Carmelo Miceli, deputato PD e Responsabile alle Politiche per la Sicurezza, di proporre un’interrogazione parlamentare per oscurare il videogioco per cellulari Mafia City. Secondo Miceli, il gioco sarebbe “un subdolo strumento di propaganda mafiosa”, capace di corrompere milioni di ragazzini. Così il Partito Democratico attacca la mafia, o almeno crede di farlo.
La decisione di Miceli, ripresa dall’account Twitter dei Deputati del PD, è stata accolta con un misto di scherno e incredulità. L’idea che i videogiochi istighino alla violenza è infatti un luogo comune trito e ritrito, così come la convinzione che la censura sia lo strumento migliore per contrastare la diffusione di atteggiamenti culturali nocivi.
Mafia City è davvero un gioco diseducativo?
Lasciamo volentieri ai posteri l’ardua sentenza. Il gioco, comunque, sembra non piacere neanche ai suoi utenti. L’ambientazione, come si evince dal titolo, è quella del mondo della malavita organizzata. D’altronde le opere a sfondo mafioso, al cinema come in TV, nei videogiochi come nella musica, sono innumerevoli. E francamente ci piace avere ancora fiducia nelle capacità critiche degli individui: insomma, non bisogna essere gangster, per amare Scarface.
Quello che ci stupisce però è l’atteggiamento ipocrita di molta politica italiana, da destra a sinistra, quando si parla di antimafia.
Difficile trovare un tema più bipartisan della lotta alle mafie. E infatti non esistono partiti che, almeno a parole, non si schierino in favore della legalità e della lotta al malaffare. Ma quando si passa ai fatti, l’antimafia risulta sempre esclusa dalle priorità dei governi.
Neanche un mese fa, ad esempio, la maggioranza ha respinto, per la terza volta consecutiva, l’emendamento sulla legge per le vittime del racket e dell’usura.
L’attuale legislazione in materia ha avuto effetti devastanti per gli imprenditori che denunciano il sistema mafioso. Si pensi al caso di Mauro Esposito, imprenditore piemontese che, per aver messo i bastoni tra le ruote alla ‘ndrangheta, si è trovato sul lastrico. Dopo aver combattuto per anni contro la mafia, l’ingegnere Esposito si trova ora a dover fronteggiare lo Stato, il quale continua a richiedergli il versamento delle tasse, nonostante l’imprenditore non abbia ancora ricevuto i risarcimenti che gli sono dovuti. In queste condizioni, secondo sua stessa ammissione, sarà presto costretto dichiarare il fallimento dell’azienda. Un bel ringraziamento, per un cittadino che ha preferito la via della legalità a quella della connivenza.
Il suo caso è tutt’altro che isolato. Denunce simili si susseguono da anni, ad opera di altri imprenditori onesti, quali Pino Masciari e Tiberio Bentivoglio.
In tutti questi casi, alla paura per le ritorsioni mafiose si unisce la delusione nei confronti di uno Stato incredibilmente assente.
La Camera qualche mese fa ha approvato all’unanimità un ordine del giorno che proponeva di sospendere la tassazione alle vittime di racket, fino a che non avessero avuto effettivo risarcimento per i danni subiti. Nonostante ciò, i successivi emendamenti in tal senso sono stati bocciati per ben tre volte. Decisivo l’intervento del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che si è dichiarato contrario all’iniziativa per paura di possibili danni erariali. Senza rendersi conto che, in caso di effettivo fallimento di queste aziende, lo Stato non vedrebbe più neanche il becco di un quattrino.
E a chi è in mano, in questa legislatura, il Ministero dell’Economia?
Proprio a quel Partito Democratico che vorrebbe fare dell’antimafia la sua bandiera, ma poi finisce per privilegiare, non meno degli altri, le ragioni della burocrazia e della convenienza.
Gli imprenditori si trovano così in una situazione paradossale, costretti a versare soldi a uno Stato rispetto al quale sono effettivamente creditori, ma che impiega anche anni per rimborsare i cittadini danneggiati dalla criminalità.
Insomma, è evidente che, per buona parte della politica italiana, l’antimafia sia solo una facciata.
La politica ogni anno partecipa alle commemorazioni dei grandi nomi dell’antimafia, si spertica in lodi per il coraggio di Falcone e Borsellino, ma dimentica colpevolmente di aiutare gli eroi italiani finché sono ancora vivi. Mentre il Partito Democratico attacca la mafia nei videogiochi, la società civile aspetta inutilmente che la politica intervenga in tutela dei cittadini onesti.
Non è la prima volta che il PD, passato all’improvviso dall’opposizione alla maggioranza con i 5 Stelle, viene accusato di immobilismo.
I temi dell’accoglienza, del progressismo, della lotta alle mafie, che fanno parte da anni della narrazione di sinistra, sembrano tutto a un tratto finiti in secondo piano. Il Partito Democratico attacca la mafia solo a parole, come se si fosse scordato di essere al governo, cioè nella posizione di poter fare, per una volta, qualcosa di concreto.
Un altro esempio di questa arrendevolezza (che sia frutto di pigrizia o di interesse, non è dato saperlo) è il decreto Semplificazioni. Nel tentativo più che nobile di agevolare la ripartenza dell’Italia, tale decreto ha di fatto messo da parte alcune tutele e controlli necessari per evitare le infiltrazioni mafiose nell’economia. Queste tutele, in un Paese come l’Italia, non possono essere viste come zavorre che rallentano la crescita, ma come condizioni necessarie alla nostra economia, la cui debolezza deriva in larga parte proprio dalla corruzione e dalle ingerenze criminali.
Il contrasto alla criminalità organizzata dovrebbe quindi essere il primo obiettivo di qualsiasi governo, date le terribili proporzioni che il fenomeno assume nel nostro Paese.
Invece si parla di mafia solo in occasione delle ricorrenze importanti, oppure, come nel caso di Mafia City, quando c’è da fare polemica sterile. La lotta alle mafie, non c’è dubbio, passa anche dalle battaglie culturali. Ma su questo piano, l’antimafia è già vivace e combattiva, grazie all’impegno della società civile. Ciò che manca da anni, invece, è l’iniziativa politica, a destra come a sinistra. Se le mafie vincono, la colpa non è certo di un videogioco, ma di chi, pur avendone il potere, non ha mosso un dito per indebolirle.
Elena Brizio