L’allerta sembra non cessare e la pandemia ci confina tutti dentro il “Paradiso immobile” di casa
C’è chi svolge ancora il proprio lavoro in modo regolare e chi invece si ritrova catapultato in uno strano oblio. Uno stato di inerzia che confonde quella logica con cui giorno dopo giorno abbiamo costruito la nostra esistenza.
Trovarsi da un momento all’altro a vivere uno spazio e un tempo astratti, dimenticati e forse neanche mai vissuti, fa paura e stordisce i sensi. Questo stato di profondo disorientamento spinge ad ascoltarci nel profondo, ci rende ipersensibili ad ogni umore. Quegli stessi sentimenti che, per distrazione, non abbiamo più osservato con attenzione, adesso sembrano coinvolgere ogni nostro pensiero. Al ché l’emozione è amplificata e nell’ovattato Paradiso immobile delle nostre mura, rimbomba assordante perfino il battito del proprio cuore. Lottiamo con continui nodi alla gola e ci resta ben poca voglia di parlare ancora della catastrofe in corso.
Eppure un’alternativa c’è: creare il nostro personale Eden
Cosa ci manca, in fondo? Abbiamo cibo a volontà (a parte il lievito di birra, che ormai sembra un bene di lusso), inoltre abbiamo la possibilità di comunicare con ogni mezzo tecnologico. E poi fare lunghe chiacchierate al telefono, dormire di giorno e stare svegli di notte, dedicarci a quella passione che tanto bramavamo, alzare di tanto in tanto il gomito senza il rischio del rientro (o quello della perdita di dignità). E se fosse questo il paradiso?
Ma dall’Eden già fummo cacciati e forse ormai non siamo più abituati a godere di un piacere fine a se stesso.
Ormai l’istinto umano è quello di sconfinare oltre il tedioso agio, cercare stimoli che possano spezzare un equilibrio. Amiamo più sognarlo il Paradiso, porlo come una meta da conquistare con passione e dedizione, dopodiché, una volta raggiunto, desideriamo fuggire via di nuovo. Non si tratta esclusivamente di noia, è più una “insostenibile leggerezza dell’essere” che a lungo andare diventa un macigno. Siamo qui, nei nostri morbidi nidi accoglienti e sogniamo lo struggimento, l’avventura. Inoltre ritrovarsi soli con se stessi, nudi e indifesi, ci obbliga a parlare con la parte più intima di noi e scorgere connotazioni represse difficili da accettare
Ulisse lo sapeva bene quando dentro il Paradiso immobile di Ogigia, sognava la fuga
Nell’Odissea Omero ci racconta del prode Ulisse, che piange sullo scoglio di Ogigia, dimora della Dea Calipso. L’eroe rifiuta ogni nettare divino, rinnegando perfino il dono dell’immortalità, pur di ritornare a solcare i burrascosi mari verso la meta: la cara Itaca. Un sasso scabro ma pur sempre una buona scusa per sfuggire dal melenso piacere eterno. Nonostante egli sappia bene che tutto ciò lo condurrà a nuovi, gravi patimenti, sarà comunque pronto a lasciare Calipso, Dea dall’infinita bellezza. Così ella cederà ai piagnistei dell’uomo, lasciandolo andare incontro al proprio destino.
Come Ulisse anche noi abbiamo difficoltà nel concederci al piacere, considerandolo “tempo perso”.
“Leggo un libro a tempo perso”, “scrivo una poesia a tempo perso”, “mi riposo un po’ a tempo perso”. Ma siamo così certi che questo tempo sia “perso” davvero? Considerare normale uno stato di costante iper produttività ed una continua ricerca di traguardi, rischia di renderci schiavi del tempo che, di fatto, non sarà mai abbastanza. Non solo è dannoso dover vincere a tutti i costi o pensare ininterrottamente alla scalata al successo, ma è estenuante soprattutto sentirsi nel dovere di fare ogni cosa oltre le proprie capacità, sfidarsi e cercare sempre di superarsi. Insomma, sembra che la nostra vita sia diventata una gara podistica: corri corri e poi alla fine, ahimè, solo un traguardo è lo stesso per tutti. Eppure, di tanto in tanto, basterebbe sedersi un attimo sotto un bell’albero e lasciarsi vivere senza troppe pretese.
Che nel rifiutare il Paradiso immobile vi sia una celata cherofobia?
La cherofobia è quell’atteggiamento compulsivo che porta a fuggire da tutto ciò che, in qualche modo, possa arrecare gioia o piacere. A pensarci forse anche Ulisse era un cherofobico. In fondo chi rinuncerebbe ai doni di vita eterna e beatitudini illimitate? Eppure capita a molti di cadere in un continuo stato di tormento, tanto per sentirsi vivi, questo perché a volte è più facile accettare un imprevisto piuttosto che l’insofferenza derivata dalla tediosa pace. Tuttavia questo atteggiamento, quando diventa eccessivo, può creare una pericolosa assuefazione, come succede per l’adrenalina negli sport estremi. Questa continua ricerca di sofferenza rende intolleranti ad ogni piacere o gioia, quella pace interiore necessaria alla sopravvivenza.
Il Paradiso immobile non è concepibile, perché è innato nell’essere umano dover definire sempre uno spazio e un tempo
Collocarsi fisicamente in un contesto tangibile, organizzare e schematizzare ogni aspetto della propria vita e stabilirne tappe e mete. Questo è bene, ma a volte è necessario sapersi fermare. Abbiamo forse un po’ perso la capacità di farlo, perché l’ozio non ha coordinata alcuna, non ha limiti definiti, perciò resta difficile concepirne il senso. E’ come se dovessimo sempre aver chiara una linea da percorrere, una retta che va da un punto A un punto B. Se ciò non fosse, come nella tregua dentro il Paradiso immobile di Ulisse, la nostra stessa esistenza verrebbe messa in discussione. Questo perché la mente umana non riesce a definire fino in fondo il “non finito” e al solo pensiero va in crash.
Pertanto, noi come Ulisse singhiozziamo sognando il ritorno.
Così, come il Prode, supplicheremo di lasciare il Paradiso immobile che tanto ci opprime, per poter tornare ai cari tormenti di vita. Questo è il nostro destino, che sia tracciato dagli Dei o sia solo frutto dell’evoluzione. Allora, che Omero non me ne voglia, immagino Ulisse un paio di settimane dopo il ritorno a Itaca. Lo vedo mentre saluta con passione la sua amata Penelope dicendo:
< Cara, le pareti di casa mi opprimono, vado a fare un giro in mare. Non crucciarti amore, vedrai che torno presto >
Al ché Penelope, preoccupata (o forse già abituata alle smanie del marito) risponderebbe:
< Ma caro! Ti sembra il caso? Sai che per te il mare è luogo impervio. Resta con me, ti prego, il banchetto è colmo di cibi prelibati e il letto già pronto per l’amore >
Ma Ulisse caparbiamente insiste:
< Penelope, unico amore della mia vita (si fa per dire), capiscimi! Ho bisogno di evadere un po’… Che so: incontrare sirene, accecare giganti, sfidare gli Dei… Sai che ciò mi stimola. Ti ringrazio per il banchetto e per l’amore che mi dai, ma questo Paradiso immobile mi spaventa più della furia di Poseidone >
E niente, il Paradiso immobile per noi resta un’utopia, poiché, come diceva Ulisse nell’Inferno di Alighieri:
O frati,” dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigiliad’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenzaDante Alighieri – Divina Commedia (vv.112-120)
Che poi, parafrasando, sarebbe: “Le pantofole al rogo e via di corsa verso la meta” (che per noi non sarà sfidare gli Dei, ma poco ci manca).
La quarantena un giorno finirà e noi torneremo tutti a navigare le strade congestionate dal traffico, passeremo ore dentro grigi uffici e, tra scartoffie e matite spuntate, sogneremo il Paradiso. Un sospiro e di nuovo torneremo a ripetere la frase di sempre:
“Ah! Quanto mi piacerebbe avere un po’ di tempo solo per me”
Sabrina Casani