Dal nuovo rapporto INAPP emerge che: “La condizione socio-economica dei nati all’estero è peggiore rispetto ai nativi, con tassi di povertà relativa elevati, 30% contro il 18%, e condizioni abitative precarie. Le condizioni di svantaggio sono più evidenti nelle regioni del Sud e per le donne, in particolare nel lavoro, con più bassi livelli di occupazione e più alti tassi di sovra-qualificazione lavorativa. Da questi dati che certificano una situazione di pronunciata disuguaglianza bisogna partire per individuarne le cause ed elaborare proposte per rimuoverle”
L’istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP), ente pubblico che si occupa di analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro, delle politiche dell’istruzione e della formazione e delle politiche sociali, ha pubblicato un nuovo rapporto dal titolo “Indicatori di integrazione dei cittadini con background migratorio residenti in Italia”. Il rapporto, pubblicato insieme al ministro del Lavoro, presenta i dati sull’integrazione dei cittadini di origine straniera ed è stato presentato lo scorso 8 giugno durante il corso del convegno “L’integrazione delle persone di origine straniera”, al quale hanno inoltre partecipato il Viceministro del Lavoro, Maria Teresa Bellucci, e la vicedirettrice della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, Elena Grech. Uno dei principali dati che emerge dal rapporto è che quasi un quarto di coloro che sono nati all’estero ha la percezione di appartenere ad un gruppo sociale discriminato ed al contempo di appartenere solo in maniera limitata all’Italia. Dall’altre parte della medaglia vi è invece un altro dato significativo, che riguarda gli individui autoctoni. Tra questi, quattro su dieci hanno mostrato preoccupazione nei confronti della cultura del Paese e delle condizioni di vita all’interno dello stesso, le quali sarebbero messe a repentaglio dalle persone provenienti da altri paesi.
Nuovo rapporto INAPP: una società sempre più eterogenea
Il rapporto si compone di una prima sezione che delinea le condizioni sociodemografiche della popolazione di origine straniera sulla base di “indicatori strutturali”, quali: “Composizione della popolazione immigrata”, “Età”, “Incidenza della popolazione immigrata”, “Cittadini stranieri residenti”, “Durata della permanenza” e “Nuovi ingressi”, calcolati per la popolazione oggetto di studio, dunque gli stranieri per nascita o cittadinanza e per la popolazione di riferimento, coloro che sono nati in Italia o cittadini italiani. L’altra parte del rapporto è poi formata da quattro sezioni relative invece ai domini di integrazione (Istruzione, Lavoro, Condizione di vita e salute, Cittadinanza e senso di appartenenza). Per quanto riguarda il primo indicatore, dunque la “Composizione della popolazione immigrata”, il rapporto comunica che nel 2020 in Italia risiedono circa sei milioni di persone nate in un Paese straniero, costituendo il 10% della popolazione totale. Questo dato, nonostante sia al di sotto della media UE del 12%, sottolinea come negli ultimi decenni la società stia diventando sempre più eterogenea. A questo proposito è infatti importante ricordare inoltre che il nostro Paese viene inserito all’interno della categoria di “recente immigrazione”. Tra le varie tendenze che emergono dai dati vi sono poi una crescente femminilizzazione dei flussi migratori ed un maggiore numero di residenti nati all’estero nelle regioni del Nord e del centro, le quali attraggono di più avendo maggiori opportunità lavorative.
La popolazione di origine romena è il gruppo più numeroso tra gli stranieri residenti in Italia
Per quanto riguarda l’indicatore dell’età, all’interno della popolazione con cittadinanza italiana, l’incidenza dei minori di 14 anni sulla popolazione totale è pari al 12,4%. Osservando invece gli stessi aspetti all’interno della popolazione straniera residente in Italia, l’incidenza dei giovani fino ai 14 anni è maggiore, arrivando al 17,5%. Successivamente, il rapporto presenta l’indicatore della popolazione immigrata, la quale nell’ultimo decennio si è stabilizzata sul 10% del totale. All’interno di questo indicatore è inoltre possibile osservare come tasso di occupazione della popolazione e quota di popolazione costituita da persone nate all’estero siano generalmente due aspetti che vanno di pari passo. Ciò significa che nelle regioni il cui tasso di occupazione nella popolazione è più elevato, la fetta di popolazione costituita da persone nate all’estero sarà anch’essa più ampia. Dall’indicatore “Cittadini stranieri residenti” emerge come nel 2021 gli stranieri residenti in Italia ammontano a poco più di 5 milioni, e di questi il 49% proviene dell’Europa, evidenziando soprattutto la fondamentale incidenza della popolazione di origine romena, la quale con il 23% degli stranieri residenti rappresenta il gruppo più numeroso residente in Italia.
Il forte impatto della pandemia sugli ingressi
Vi sono poi i dati legati all’indicatore della “Durata della permanenza”. Qui, il primo dato preso in considerazione sottolinea come la stragrande maggioranza di nati all’estero vive in Italia da almeno 10 anni, maggioranza che ammonta all’80,8%. Inoltre, è importante notare come siano state le donne a guidare la tendenza degli arrivi negli ultimi dieci anni. Infine, viene trattato l’indicatore dei “Nuovi ingressi di immigrati”, all’interno del quale l’aspetto principale sottolineato all’interno del rapporto è che dal 2019 il numero di nuovi ingressi registrato è stato generalmente stabile rispetto all’ano precedente. Rispetto al 2015 invece vi è stata una crescita del 18%. Inoltre, il nuovo rapporto INAPP evidenzia il ruolo della pandemia in questo contesto nel 2020. In quell’anno, infatti, gli ingressi sono calati, in particolare tra i non comunitari: sono stati circa 106mila, il numero più basso degli ultimi 10 anni, quasi il 40% in meno rispetto a quelli registrati nel 2019.
Disoccupazione maggiore per i cittadini stranieri
La ricerca evidenzia inoltre come in Italia vi siano attualmente circa 3 milioni e 500mila cittadini di Paesi terzi, presentando un aumento del 6% rispetto al 2021, il che è anche una conseguenza dell’attuale conflitto in Ucraina. Un altro aspetto importante è legato ai dati del tasso medio di attività, i quali sottolineano come questo tra gli stranieri sia superiore con più dell’1% rispetto a quello dei cittadini italiani, presentando rispettivamente il 64,7% ed il 63,2%. Rispetto al genere, si registra ovunque una netta prevalenza del tasso medio di attività della componente maschile (circa il 79%), rispetto a quella femminile (47%). La differenza tra le due componenti è massima nella regione Veneto (43,6%), dovuto all’altissima percentuale della quota di forze lavoro degli stranieri non comunitari e minima nella regione Umbria. Il tasso di disoccupazione dei cittadini stranieri, in modo analogo tra comunitari o provenienti da paesi extra UE, si attesta intorno al 15% ed è superiore a quello dei cittadini italiani.
Più integrazione per il benessere della popolazione
Come sostiene Sebastiano Fappa, presidente dell’Inapp, dai dati del nuovo rapporto INAPP risulta chiaro che: “Le condizioni di svantaggio della popolazione immigrata sono più evidenti nelle regioni del Sud per molti aspetti, e per le donne in particolare nel lavoro, con più bassi livelli di occupazione e più alti tassi di sovraqualificazione lavorativa rispetto agli uomini. Da questi dati che certificano una situazione di pronunciata disuguaglianza bisogna partire per individuarne le cause ed elaborare proposte per rimuoverle”. Egli ha inoltre sottolineato come: “Il problema delle diseguaglianze che colpiscono la popolazione di origine straniere su molti aspetti della vita sociale pone problemi molto complessi sia sul piano della stessa definizione concettuale di ‘integrazione’ sia su quello della elaborazione di appropriate strategie capaci di promuoverla. Ma si tratta di sfide da affrontare non solo per ragioni di giustizia e di equità, ma anche perché da esse dipendono coesione sociale, progresso economico e benessere della popolazione”.
Simone Acquaviva