Nel primo vertice a Niamey i tre paesi “ribelli” hanno portato a termine la rottura con il blocco dell’ECOWAS gettando le basi per un protettorato russo nel Sahel occidentale.
Riprendere il pieno controllo sulla sicurezza regionale per provare a ridisegnare il sistema delle alleanze nell’Africa occidentale. E’ sotto questi auspici che lo scorso 6 luglio Niger, Burkina Faso e Mali hanno sottoscritto nella capitale nigerina la dichiarazione di Niamey dando vita all'”Alleanza degli Stati del Sahel” (AES).
L’intesa tra i capi di Stato dei membri fondatori della Confederazione, Abdourahamane Tiani del Niger, Assimi Goita Goita del Mali e Ibrahim Traoré del Burkina Faso, saliti al potere con il fragore delle armi tra il 2020 e il 2023, aggiunge così un altro mattone al muro eretto in questi anni dai paesi golpisti con l’aiuto di Russia e Cina contro l’ingerenza occidentale nella regione.
Per Mosca, la nascita di un protettorato russo nel Sahel rappresenta il passo strategico successivo dopo le abili campagne di disinformazione anti francesi e anticoloniali condotte in questi anni, all’interno della grande guerra d’influenze per l’Africa che vede schierate Russia, Turchia, Qatar, Cina da un lato e l’Occidente in ritirata dall’altro.
L’accordo golpista nel Sahel alla prova della legittimazione politica e militare
Sicurezza, sviluppo e coesione sociale: sono questi gli ambiti nei quali la neonata alleanza del Sahel è pronta ad intervenire per restituire la sovranità ai popoli africani. In particolare, gli interessi dei tre generali riuniti nella capitale nigerina hanno trovato una convergenza nell’attuazione di un piano trilaterale permanente per combattere il terrorismo jihadista dilagante nella regione. Inoltre, i fondatori hanno deciso la creazione di una Aes Investment Bank e l’istituzione di Fondo di stabilizzazione.
Ma, messi per un attimo da parte i proclami antimperialistici e la retorica del panafricanismo in rivolta contro il neocolonialismo occidentale, la realtà che emerge dal progetto scissionista dei tre stati un tempo parte della cosiddetta Francafrique, è molto diversa.
L’uno-due geopolitico rifilato da Mali, Niger e Burkina Faso, a potenze del calibro di Francia e Stati uniti (prima con il ritiro delle truppe dai rispettivi territori, e ora con la creazione di un protettorato russo nel Sahel) ha come obiettivo reale il raggiungimento di una maggiore legittimazione politica degli attori regionali agli occhi delle opinioni pubbliche africane, a danno chiaramente dell’influenza dei paesi occidentali con un passato coloniale nel continente.
Da parte dei membri dell’AES dimostrare alle opinioni pubbliche africane che il dominio occidentale nel Sahel appartiene ormai al passato, rappresenta un enorme vittoria sul piano politico, che trova riscontro anche nella scelta della data del primo vertice dell’Alleanza: fissata un giorno prima del summit della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) previsto il 7 luglio nella capitale della Nigeria Abuja.
Oggi più che mai, per i leader golpisti, l’ECOWAS rappresenta un’organismo incapace di adempiere al suo compito di protezione dalle minacce terroristiche, come sottolineato dall’uomo forte del Niger, il generale Tchiani nel corso del primo vertice dell’AES. Una critica, quella mossa dal generale nigerino che trova conferma nell’incertezza cronica dei membri dell’ECOWAS spesso divisi sulle modalità di risposta a situazioni di crisi come quella del colpo di stato che nel 2023 permise proprio a Tchiani di deporre il presidente Mohammed Bazoum prima di prendere il controllo del Paese.
Al contrario, l’AES intende colmare il deficit della sicurezza nella regione attraverso la creazione di una forza militare congiunta, affiancando quindi alla legittimazione politica quella militare e facendo affidamento anche in questo frangente sul sostegno russo; in questi anni la presenza di mercenari russi in Mali, Niger e Burkina Faso ha continuato a crescere anche dopo la trasformazione della PMC Wagner ora rinominata Africa Corps, utilizzata da Mosca per azioni in territori esteri, contro le bande terroristiche e i dissidenti interni ai regimi disponibili a soddisfare le richieste del Cremlino.
Il protettorato russo nel Sahel segna la fine della Françafrique?
Per accelerare la debacle della Francia nella regione, gli stati golpisti stanno anche pensando di creare un fondo di stabilizzazione, una Banca e un comitato permanente di studio e analisi economica. Con il beneplacito di Mosca, i paesi saheliani ribelli intendono smantellare il franco CFA, la moneta attraverso la quale Parigi controlla le economie di tutti i paesi aderenti, ritenuta dalle opinioni pubbliche africane espressione di dinamiche di influenza post-coloniale e simbolo di una perdurante dipendenza politico-economica da Parigi.
Per provare a erodere l’influenza monetaria di Parigi nell’africana francofona, i ministri dell’Economia dell’AES hanno proposto di sostituire il franco CFA con una moneta legata al valore dell’oro, prodotto in grandi quantità dai paesi fondatori della Confederazione saheliana; tuttavia, questa soluzione appare difficilmente realizzabile a causa dell’elevata vulnerabilità dell’asset in questione, oggetto di speculazioni del mercato e degli investitori internazionali.
Diversamente, il progetto per la realizzazione di una banca comune e il potenziamento di investimenti nei settori dell’agricoltura, dell’estrazione mineraria e dell’energia, sembrerebbero proseguire apparentemente senza intoppi, pur rimanendo sostanzialmente vincolati alla disponibilità e alle esigenze di Mosca.
Le numerose iniziative di cooperazione offerte dal Cremlino ai paesi saheliani riflettono, infatti, il crescente livello di fiducia attribuito alla Russia dai regimi golpisti, confermando il progressivo spostamento dei punti di riferimento economici e di sicurezza di un numero crescente di stati dell’area saheliana.
Del resto, se la sequela di colpi di stato riusciti in Mali, Niger e Burkina Faso, aveva già ridotto l’influenza politica e il potenziale diplomatico francese nel Sahel, adesso con la nascita di un blocco di paesi ostili all’ECOWAS e a qualsiasi ingerenza proveniente dal mondo occidentale, lo status internazionale di Parigi rischia di essere definitivamente compromesso mentre la regione va incontro alla disintegrazione politica e securitaria, dilaniata da guerra, povertà, corruzione e sfruttamento.
L’ECOWAS sceglie la via diplomatica
Per affrontare l’attuale situazione di tensione, l’ECOWAS ha scelto la via diplomatica, consapevole dei rischi connessi al tracollo dell’instabilità nella regione. Il compito di persuadere Niamey, Bamako e Ouagadougou, a rientrare nell’organizzazione internazionale istituita con il trattato di Lagos nel 1975, è stato affidato al giovane presidente del Senegal, assirou Diomaye Faye, il quale sarà accompagnato dal presidente del Togo Faure Essozimna Gnassingbe.
La scelta di inviare in prima linea nei colloqui diplomatici con i leader di Niger, Mali e Burkina Faso, un politico giovane come Faye rappresenta innanzitutto l’occasione adatta per ribaltare l’immagine che le giunte golpiste hanno cucito addosso ai membri dell’ECOWAS in questi anni. Ma il promettente leader senegalese è stato scelto anche per le sue idee che lo hanno reso un celebre sostenitore del panafricanismo filo-occidentale: è importante per i paesi africani recidere i legami con il passato coloniale senza chiudere la porta ai benefici derivanti dalla cooperazione economica e securitaria con l’Occidente.
Seguendo questa linea d’azione, l’ECOWAS spera che diplomazia amica di Diomaye Faye possa quantomeno rallentare l’avanzata del Cremlino nel Sahel; Dakar e Mosca sono in ottimi rapporti da quando il governo russo ha approvato progetti di accordi per una cooperazione militare con il paese africano.
Nelle scorse settimane il presidente senegalese ha già avviato il dialogo con i vertici dell’AES, ma finora non ha avuto risultati incoraggianti. Del resto, da quando le giunte militari hanno preso il potere nel Sahel, le distanze sul piano politico nei confronti dell’ECOWAS, dell’Unione Africana, degli Stati Uniti e in particolar modo della Francia in quanto ex potenza coloniale sono aumentate generando nuovi fronti di crisi.
Il radicarsi del jihadismo di matrice islamica nel Sahel e il gli insuccessi delle missioni di sicurezza a guida occidentale, hanno dato il colpo di grazia, allungando la spirale di fallimenti e alimentando la propaganda antioccidentale dei regimi golpisti sapientemente orchestrata e diretta da Mosca che ringrazia per gli errori commessi dai paesi occidentali in tandem con l’ECOWAS mentre aspetta di raccogliere i frutti del suo lungo lavoro di destabilizzazione.
Tommaso Di Caprio