Il numero di bombe sganciate a Gaza, secondo la stessa Aeronautica Israeliana (IAF), è di circa 6.000 in soli sei giorni. Un numero sorprendentemente equiparabile a quanto gli Stati Uniti avessero utilizzato in un anno in Afghanistan. Questa notizia ha sollevato una serie di interrogativi e preoccupazioni riguardo alla portata delle operazioni militari in corso e alle loro implicazioni.
L’Aeronautica Israeliana (IAF) ha recentemente dichiarato di aver sganciato circa 6.000 bombe contro obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza dall’inizio dell’attacco sabato scorso. Questo numero sorprendente quasi eguaglia la quantità di bombe sganciate dagli Stati Uniti in Afghanistan durante l’arco di un anno. La notizia attira l’attenzione di esperti e osservatori, portando a una riflessione critica sulla portata e l’impatto di dell’assedio totale che sta avvenendo a Gaza.
Marc Garlasco, un consulente militare associato all’organizzazione olandese PAX for Peace, ha espresso preoccupazione riguardo alla vastità delle operazioni israeliane in confronto con l’uso di bombe da parte degli Stati Uniti in Afghanistan. Garlasco ha notato che Israele sta sganciando il numero di bombe che gli Stati Uniti avrebbero utilizzato in un anno in Afghanistan, ma in una zona geograficamente più piccola e molto più densamente popolata, dove ogni ordigno ha gravi conseguenze che si traducono in morte.
Garlasco, che ha un background significativo come ex investigatore delle violazioni dei diritti umani delle Nazioni Unite in Libia, ha citato documenti provenienti dal Comando Centrale dell’Aeronautica degli Stati Uniti per sostenere la sua affermazione. Secondo tali documenti, il numero massimo di bombe sganciate in un anno durante la guerra in Afghanistan è stato leggermente superiore a 7.423. A titolo di confronto, durante l’intera guerra in Libia, la NATO ha riferito di aver sganciato oltre 7.600 bombe e missili da aerei.
La cifra di 6.000 bombe sganciate a Gaza in sei giorni ha lasciato molti esperti perplessi. Charles Lister, un ricercatore senior e direttore del programma estremismo e controterrorismo presso il Middle East Institute, ha commentato questa cifra in modo sorpreso, mettendo in luce il contesto geografico. Egli ha sottolineato che questa quantità di bombe è stata sganciata su un territorio di appena 365 km², facendo notare che la coalizione internazionale anti-ISIS ha sganciato mediamente circa 2.500 bombe al mese su una superficie di 46.000 km² in Siria e Iraq.
I risultati di questi bombardamenti a Gaza dopo sei giorni di operazioni sono stati devastanti. Il bilancio delle vittime ha superato i 1.500 morti, tra cui almeno 500 bambini e 276 donne, secondo il Ministero della Salute Palestinese. Questi dati si avvicinano rapidamente al numero di morti registrato durante la guerra del 2014, prima ancora dell’inizio di un’eventuale invasione terrestre. Inoltre, più di 338.000 persone hanno dovuto abbandonare le proprie case in cerca di sicurezza, ma le uscite dal territorio, sia verso Israele che verso l’Egitto, sono state chiuse. Questa situazione ha suscitato preoccupazioni tra i gruppi umanitari, che stanno mettendo in evidenza le conseguenze disastrose di una campagna militare in un’area urbana densamente popolata, già afflitta da un blocco israeliano ed egiziano che limita l’accesso ai beni e la mobilità della popolazione.
Il recente annuncio delle autorità israeliane riguardo alla richiesta di evacuazione di oltre un milione di persone dalla zona nord di Gaza, con la concentrazione di tutta la popolazione nella zona sud, ha sollevato timori di un’imminente operazione terrestre. Tuttavia, Hamas ha respinto questa richiesta, definendola “falsa propaganda”. Qualsiasi operazione terrestre futura è prevista come più prolungata, sanguinosa e estesa rispetto a quella del 2014, e potrebbe mirare alla distruzione della vasta rete di tunnel sotterranei di Hamas. È importante notare che, in questa occasione, l’esercito israeliano sembra intenzionato ad entrare nelle aree più densamente popolate, dove si ritiene che possano essere detenuti ostaggi.
In aggiunta, gli attacchi aerei in corso sono stati più diffusi rispetto a quelli passati, e l’esercito israeliano ha rimosso alcune delle restrizioni operative, come la pratica dei “colpi sul tetto”, una tattica utilizzata in passato per avvisare gli occupanti di edifici bombardati mediante il lancio di dispositivi non esplosivi o a bassa potenza prima di una distruzione totale.
L’attuale escalation dei conflitti a Gaza continua a sollevare numerose preoccupazioni riguardo alla portata e all’impatto dell’operazioni militare, nonché sulla crescente crisi umanitaria che sta colpendo la popolazione civile. La comunità internazionale, per il momento, si limita a osservare attentamente gli sviluppi, facendo ancora troppo poco per promuovere una soluzione pacifica a questo conflitto altamente volatile.