Il netto calo degli investimenti cinesi in Africa

investimenti cinesi in Africa

Michele Marsonet Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane Ultima Voce

Michele Marsonet

Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane


Gli investimenti cinesi in Africa sono caratterizzati da un drastico mutamento, un cambiamento significativo che non può essere ignorato. Da un tempo in cui Pechino considerava il continente africano una destinazione di elezione per i suoi investimenti all’estero, si è giunti a una situazione di netto ribaltamento.


L’impegno finanziario cinese in Africa ha subito negli ultimi anni un drastico calo. Si tratta di una novità significativa, poiché Pechino ha sempre considerato il continente africano meta privilegiata dei suoi investimenti all’estero.

Secondo stime recenti siamo passati da 28 miliardi di dollari del 2016 ad appena 994 milioni elargiti l’anno passato. Più che di diminuzione, quindi, si dovrebbe parlare di un vero e proprio crollo.

Tutto questo mentre il presidente Xi Jinping non perde occasione per ribadire l’interesse e l’amicizia della Repubblica Popolare nei confronti dell’Africa, testimoniata anche dalla sua partecipazione personale alla riunione dei Brics a Johannesburg e dall’assenza, invece, al G20 di New Delhi.

Quali le cause di tale inversione di rotta? Qui le opinioni divergono. Secondo molti analisti è dovuta al difficile periodo che l’economia cinese sta attraversando (pur negata sul piano ufficiale).

La crisi permanente (e irrisolta) del colosso immobiliare “Evergrande”, unitamente a quella di altre aziende chiave della Repubblica Popolare, deve ovviamente essere presa in considerazione. Ma vanno pure aggiunti il calo delle esportazioni, la svalutazione della moneta nazionale e i guai tuttora presenti causati dalla pandemia.

Il governo sta cercando di ovviare stimolando i consumi interni, a quanto pare senza ottenere successi significativi. Né vanno sottovalutate le difficoltà che incontra il grande progetto della “Via della Seta”, partito con grande clamore mediatico e poi sgonfiatosi con il passare del tempo.

Altri analisti sottolineano invece la delusione cinese circa il modo in cui i loro fondi vengono utilizzati. Molte nazioni africane sono infatti afflitte da corruzione endemica, ed è plausibile pensare che Pechino abbia cominciato a pensare che l’Africa è una sorta di pozzo senza fondo.

Di qui le dichiarazioni di amicizia (che continuano), abbinate però al calo drastico delle somme elargite, che i Paesi africani non riescono a restituire (la famosa “trappola del debito”). Il fatto è che la Cina, vista la crisi della sua economia, non può permettersi di elargire finanziamenti a fondo perduto. Né è suo interesse vedere una crisi del debito che si espande in tutto il continente, poiché questo causerebbe danni alla sua immagine internazionale.

Dunque la politica africana della Cina sta cambiando per necessità, e questo fatto influirà anche sull’Occidente. E’ probabile che da Paesi sempre più poveri partano ondate ancora più imponenti di migranti alla ricerca di una vita migliore.

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