Pietro Canori, storico esponente del narcotraffico pontino, è stato condannato a 9 anni di reclusione dal Tribunale di Palermo, al termine di un processo scaturito dalla maxi operazione anti-droga denominata “Gordio”. L’inchiesta, che ha coinvolto diversi membri di organizzazioni mafiose e criminali, ha svelato gli intrecci tra le cosche siciliane e i narcotrafficanti della provincia di Latina. Nonostante il pubblico ministero avesse richiesto una pena più severa, Canori dovrà scontare un lungo periodo di reclusione e una multa di 60.000 euro. La vicenda, che ha portato alla luce un traffico di cocaina che attraversava diverse regioni italiane, dimostra l’ampiezza della rete di narcotraffico che ha coinvolto anche nomi noti nell’ambiente criminale pontino e siciliano.
Un traffico internazionale sotto la lente della DDA
L’operazione “Gordio”, che ha preso il via nel 2021, ha avuto un forte impatto su tutto il territorio italiano, in particolare sulle province di Latina e Palermo. Coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Palermo, ha visto il coinvolgimento di diverse forze dell’ordine, tra cui la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) e i Carabinieri. L’operazione ha permesso di fare luce su un sistema consolidato di smistamento di cocaina tra la Sicilia e la zona dei Monti Lepini, un’area storicamente sotto il controllo di diverse famiglie mafiose e ‘ndranghetiste. Nonostante la gravità delle accuse, la sentenza ha escluso per tutti gli imputati l’aggravante mafiosa, confermando però il traffico di droga come principale accusa.
Il ruolo di Pietro Canori: legami con le cosche
Pietro Canori, 74 anni e originario di Priverno, è stato un nome centrale nell’ambito del traffico di stupefacenti tra Latina e la Sicilia. Conosciuto come uno dei principali narcotrafficanti dell’area, Canori aveva intrattenuto rapporti con figure di spicco della criminalità organizzata siciliana, tra cui la cosca dei “Fardazza”/Vitale di Partinico.
Durante le indagini è emerso che Canori e i suoi complici, tra cui alcuni affiliati alla ‘ndrangheta, rifornivano le cosche siciliane di grandi quantità di cocaina, contribuendo ad alimentare un mercato illegale ben strutturato. Canori, inoltre, aveva intensificato le sue attività anche sotto una particolare condizione di sorveglianza, come dimostrato da una intercettazione in cui si lamentava di essere sotto stretto controllo delle forze dell’ordine, usando il termine “malaria” per indicare la sua costante attenzione.
La sentenza e il futuro di Canori
Il Tribunale di Palermo ha condannato Pietro Canori a 9 anni di reclusione, una pena inferiore rispetto ai 16 anni richiesti dal pubblico ministero, Bruno Brucoli. La corte ha ritenuto la sua posizione meno grave rispetto ad altri imputati, ma non ha escluso la responsabilità nell’ambito del traffico internazionale di droga. Canori, che si trovava agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico al momento della condanna, dovrà anche far fronte al pagamento di una multa di 60.000 euro. Sebbene la corte non abbia accolto l’aggravante mafiosa, il suo coinvolgimento con le organizzazioni criminali ha comunque portato alla condanna.
La rete di traffico smantellata dalla DDA
Oltre a Canori, sono stati coinvolti altri membri della criminalità organizzata, tra cui i membri della ‘ndrangheta dei Pesce di Rosarno. L’inchiesta ha portato a smantellare una rete di narcotraffico che riforniva diverse regioni italiane, con una particolare attenzione alla Sicilia. Tra i condannati figurano Nicola Lombardo e Nunzio Cassarà, che hanno ricevuto pene anche più severe, fino a 21 anni di reclusione. Nonostante le indagini avessero inizialmente portato a contestare l’associazione mafiosa e il concorso esterno, alla fine il Tribunale ha deciso di escludere l’accusa di concorso esterno alla mafia per tutti gli imputati, riducendo le pene a causa dell’assenza di un coinvolgimento diretto nelle attività mafiose.
Il precedente arresto e la carriera criminale di Canori
Pietro Canori non è nuovo alle vicende giudiziarie. Nel 2019, infatti, era stato arrestato dalla Polizia di Terracina per traffico di droga, finendo nella lista dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia. La sua carriera criminale nel narcotraffico era consolidata, e Canori è stato anche mentore di molti narcotrafficanti locali. Nonostante avesse già una condanna per spaccio, le operazioni “Gordio” e “Pars Iniqua” hanno rivelato l’ampiezza dei suoi traffici, che avevano raggiunto anche l’area siciliana, traendo vantaggio dalle alleanze con gruppi mafiosi.
Una vittoria parziale per la giustizia
La condanna di Pietro Canori segna un’importante vittoria per le autorità giudiziarie nel contrasto al narcotraffico e alla criminalità organizzata, ma la sentenza riflette anche le difficoltà nel combattere il crimine organizzato in Italia. L’esclusione dell’aggravante mafiosa, infatti, rappresenta una vittoria parziale per gli imputati, che vedono ridotte le pene rispetto a quanto previsto inizialmente.
Tuttavia, la maxi operazione “Gordio” ha comunque dimostrato la capacità della DDA di smantellare reti criminali complesse e di perseguire con successo coloro che si nascondono dietro le organizzazioni mafiose, portando a galla un traffico di droga che collegava varie regioni d’Italia, con il coinvolgimento di soggetti che avevano legami diretti con cosche siciliane e calabresi.