Il Muro di Berlino e la memoria dei suoi graffiti, trent’anni dopo

25.7.1991 "East-Side-Gallery", gelegen zwischen der Jannowitzbrücke und der Oberbaumbrücke. Reste der Berliner Mauer, die nach der Öffnung von vorwiegend ostdeutschen Künstlern auf der Ost-Seite bemalt wurden.

9 Novembre 1989 – 9 Novembre 2019. Sono passati trent’anni dal crollo del Muro di Berlino. Il cosiddetto “muro della vergogna” per ben ventotto anni ha diviso in due non solo la città tedesca, ma il mondo intero.

Il muro di Berlino, costruito nel 1961, non era solo una barriera fisica che limitava le libertà personali dell’uomo, a partire dalla libera circolazione nel territorio. Era una vera e propria barriera ideologica che separava, nella stessa città, due modi di vivere e due impostazioni politiche totalmente diverse.

Berlino Est si trovava sotto il regime comunista dell’Urss. Berlino Ovest era invece espressione e bandiera dell’Occidente, dei valori americani e di un modello consumistico totalmente in contrasto con il primo. La città tedesca era, in poche parole, l’esemplificazione fisico-geografica della Guerra Fredda.

Agli abitanti della parte Est della città era vietato l’accesso alla parte Ovest, a quest’ultimi invece era permesso, in particolari occasioni, un accesso speciale previo controlli, procedure complesse e pagamenti.

Questa separazione politica, resa fisica dal Muro di Berlino, ha portato conseguenze politiche importanti.

Chi abitava nella parte Est, economicamente più povera e “spenta” dell’altra parte, sognava la felicità idealizzata che si immaginava ci fosse dall’altra parte.

Intere famiglie, legami vennero interrotti e limitati da un muro che per trent’anni è stato invalicabile.

L’arte ha da sempre avuto un ruolo chiave nei principali avvenimenti storici. Così è stato anche per il Muro di Berlino, sia prima che dopo il suo crollo.

Dall’inizio degli anni Ottanta infatti, alcuni artisti incominciarono a dipingere il Muro di Berlino con dei graffiti.

Tra i primi cito in particolare Thierry Noir, Kiddy Citny ed Emmanuelle Bauchet.

Questi tre artisti ebbero in comune la volontà di lanciare messaggi positivi, di libertà e unione, che fossero già in grado da soli di abbattere, almeno ideologicamente, la barriera fisica che tagliava, con la sua lama politica, Berlino e il mondo intero.

Come si evince dalle interviste agli stessi artisti coinvolti nella pittura del Muro, l’idea di ricoprirlo di vere e proprie opere d’arte è nata anche grazie al pratico accesso a molte vasche di vernice che circolavano in quantità nella città, lasciate per strada dagli operai la notte. La loro presenza era motivata dai tanti lavori predisposti in quel periodo per abbellire la città in occasione dei 750 anni dalla sua fondazione.

Berlino Ovest ed Est si contendevano il primato e, in questa diatriba, i tre artisti pensarono bene di utilizzare il colore per dipingere il Muro, nella parte Ovest, dove ottennero il permesso per dipingere. La parte Est rimase grigia e inavvicinabile fino alla caduta, nel 1989.

Oltre a lanciare messaggi politici positivi, i graffiti rendevano vitale ciò che si proponeva come l’emblema della morte di molti diritti civili.

Un altro artista che si recò nel 1984 a Berlino fu Keith Haring, writer statunitense. Il Mauermuseum chiamò Keith a dipingere una sezione del Muro. Per realizzare i graffiti l’artista utilizzò il giallo, il rosso e il nero, i colori della bandiera tedesca.

Realizzare un’opera del genere con il controllo delle guardie non fu semplice, ma Keith Haring riuscì nel suo intento. Questo probabilmente per il messaggio non schierato che la sua opera veicolava, disposto solo a favore della libertà e non propendente per nessuna delle due frontiere.

Che cosa cambiò dopo il crollo del Muro di Berlino, il 9 Novembre 1989?

Il Muro venne abbattuto nella notte tra il 9 e il 10 Novembre dalle ruspe, aiutato dalle picconate degli stessi abitanti di Berlino. L’annuncio dell’apertura del posti di blocco è stata data in diretta televisiva dal Ministro della Propaganda della DDR Schabowsky al corrispondente Ansa da Berlino, Riccardo Hermann, durante una conferenza stampa.

Dopo il suo crollo parti del Muro vennero venduti all’asta e oggi sono ancora disponibili dei frammenti online, facilmente acquistabili su Amazon.

Un anno dopo, nel 1990 un grande numero di artisti di nazionalità diverse giunsero a Berlino per dipingere ciò che rimaneva del Muro, trasformandolo così nella più lunga galleria all’aperto del mondo, l’East Side Gallery.

Si trova esattamente a Mühlenstrasse, che una volta faceva parte della Berlino Est ed è lunga 1,3 km. Questa porzione del muro non è stata smantellata per mantenere memoria di quanto accaduto.



Uno dei murales più celebri è sicuramente “Il bacio mortale” realizzato dal pittore russo Dimitrji Vrubel, nel 1990. Il bacio in questione è quello tra Erich Honecker e Leonid Breznev. Il graffito riproduce una foto che ritrae un iconico momento realmente accaduto tra i due leader comunisti nel 1979, in occasione dei festeggiamenti dei trent’anni dalla nascita della DDR.

Sopra il murale capeggia una scritta alquanto eloquente: “Mio Dio aiutami a sopravvivere a questo amore mortale“.

A causa del deterioramento del murale, frutto anche degli atti di vandalismo che si consumarono negli anni, l’artista Vrubel ha completamente rifatto “The Mortal Kiss” nel 2009. Il disegno è il medesimo, sono cambiati solo i colori, che offrono una restituzione dell’immagine più immediata a realistica.

L’East Side Gallery conta centinaia di graffiti, tra i quali si distinguono i lavori di Thierry Noir, che aveva cominciato a dipingerlo già illegalmente prima della caduta del Muro di Berlino.

La clandestinità dell’operato si nota per la fattura stilizzata dei suoi disegni, che non potevano essere realizzati che in pochissimo tempo. Le teste colorate sono tra i suoi graffiti più iconici.

Tra i tanti artisti che si recarono a Berlino dal 1990 in poi c’era anche un italiano, Fulvio Pinna. Classe 1948 l’artista sardo è l’unico italiano che ha dipinto il muro di Berlino. Il suo murale, di 52 metri quadrati è intitolato “Inno alla gioia“. Il titolo è evocativo del messaggio: inno alla gioia di una ritrovata libertà per troppo tempo negata.

L’arte si costituisce dunque, nel caso dell’East Side Gallery, come amplificatore di una memoria collettiva.

I murales dall’estetica giocosa lanciano messaggi pungenti, politici, simbolici, specchio di una storia del dopoguerra da non dimenticare.

Oggi sono più di settanta i muri costruiti in tutto il mondo, cortine di ferro e cemento che, come il Muro di Berlino, soffocano il diritto fondamentale dell’uomo alla libertà.

Claudia Volonterio

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