Il mito di Orfeo ed Euridice è una delle leggende più note della mitologia greca.
Questo mito narra di una forte storia d’amore tra due giovanissimi innamorati: Orfeo, un poeta e musicista, ed Euridice, una bellissima ninfa.
Il mito di Orfeo ed Euridice è considerato una delle storie più commoventi e strazianti, tanto da ispirare artisti e letterati di tutti i tempi.
Il mito di Orfeo ed Euridice
Ogni creatura amava Orfeo per le sue doti artistiche. La poesia e la musica che produceva con la sua preziosa lira affascinava chi lo ascoltava. Quest’ultimo però aveva occhi soltanto per la bellissima ninfa Euridice, figlia di Nereo e di Doride. Dopo aver conquistato l’amore della fanciulla, Orfeo ed Euridice si sposano e iniziano un matrimonio radioso.
La loro felicità purtroppo svanisce quando il giovane Aristeo, figlio del dio Apollo, si innamora perdutamente della bellezza di Euridice. La ninfa non ricambia l’amore del Dio e rifiuta le sue continue attenzioni, fino ad esserne spaventata.
Un giorno infatti, nel tentativo di sfuggire ad Aristeo, Euridice scappa nell’erba alta e inciampa in un serpente velenoso. Il rettile, di conseguenza, le morde una caviglia e il veleno la uccide in poco tempo.
Orfeo si disperò terribilmente per la morte dell’amata e produsse diverse canzoni cariche di dolore, che commossero tutte le ninfe, gli dei e persino le Erinni.
Orfeo prende una decisione drastica
Alla fine, Orfeo impazzì dal dolore. Non riusciva ad immaginare la sua vita senza Euridice. Decise, così, di riprendersi a tutti i costi la sua amata. Incurante del destino, prese la decisione di scendere negli inferi per rivolgersi ad Ade e Persefone, re e regina del mondo dei defunti. Il regno dei morti è molto pericoloso per un comune mortale come Orfeo, ma i due dei erano gli unici in grado di restituirgli la moglie.
Orfeo dovette affrontare numerosi ostacoli per raggiungere Ade e Persefone.
Incontra per primo, ad esempio, il terribile Caronte: il traghettatore di anime. Orfeo riesce ad incantare con la sua musica il traghettatore, che acconsente ad accompagnarlo sull’altra riva dello Stige.
Con lo stesso metodo riesce a ‘’sedare’’ anche Cerbero: l’enorme cane a tre teste di Ade, guardiano dell’ingresso degli inferi.
Dopo aver superato altri ostacoli, Orfeo giunge al cospetto degli dei degli inferi e chiede loro di restituirgli l’amata donna.
Persefone, intenerita dall’amore di Orfeo, permette all’innamorato di poter riavere l’amata ad una condizione. Durante il tragitto che avrebbe condotto entrambi fuori dall’Ade, Orfeo non avrebbe mai dovuto voltarsi per guardare Euridice. Ad accompagnarli c’era Ermes, il messaggero degli dei, che doveva assicurarsi che il patto venisse rispettato.
Il ritorno nel mondo dei vivi
I due innamorati iniziano così il tragitto insieme, nel tentativo di ritornare nel mondo dei vivi. Euridice, che non era a conoscenza del patto tra Persefone e Orfeo, continua a chiamarlo con fare malinconico. Il giovane però, colmo di dolore, continua il percorso senza mai voltarsi indietro per non rischiare.
Una volta raggiunta la soglia e la luce, Orfeo crede di essere uscito dagli inferi e si volta. Purtroppo Euridice, che era ancora dietro di lui, avverte un forte dolore alla caviglia, lì dove era stata morsa dal serpente in vita. Si ferma e, di conseguenza, non supera l’uscita con l’amato. Orfeo rompe così l’unica condizione da rispettare e vede Euridice scomparire per sempre.
Le diverse conclusioni del mito di Orfeo ed Euridice
Per il mito di Orfeo ed Euridice esistono diverse versioni e conclusioni.
Ad esempio, secondo Ovidio, che lo descrive nelle Metamorfosi, Orfeo pianse dal dolore per sette giorni. Morì inoltre dilaniato dalle Menadi, infuriate con lui poiché iniziò ad essere attratto dagli uomini.
Invece, secondo Virgilio che lo rappresenta al termine delle Georgiche, Orfeo pianse per ben sette lunghi mesi, continuando a suonare la sua lira tristemente. Successivamente, viene ucciso dalle donne dei Ciconi, infuriate per la fedeltà del giovane verso la sposa scomparsa. Inoltre, dopo la sua morte, Orfeo viene accolto nei Campi Elisi : una sorta di paradiso.
Ciononostante, in tutte le versioni esistenti si narra che la testa di Orfeo viene separata dal suo corpo e gettata nel fiume Ebro. Si narra che la sua testa, nonostante sia separata dal corpo, continui a cantare tristemente le canzoni e le poesie scritte per Euridice.
Luisa Oranti
PROPOSTA MITO
(per chi… ne ha voglia. Troppo lungo)
Orfeo e Euridice
Della sua lira al magico concento
rendea l’acque dei fiumi più distese,
muti gli uccelli, si fermava il vento,
le selve a lui movevano, sospese.
Le Driadi tutte dalle querce annose
uscivano stupite al dolce canto,
e le crudeli belve, timorose,
più mansuete, a lui stavano accanto.
Ei fu sì tanto esperto e sì valente
e crebbe così tanto in maestria
che altre due corde aggiunse, ed abilmente,
per più dolce e soave melodia.
D’Argo sul ponte, all’insidioso mare,
con la sua cetra cantò tanto bene
che vinse con le note le più rare
ammaliatrici voci di sirene.
Alla diletta sposa dedicava
le canzoni più belle e più armoniose:
ad Euridice sua, che tanto amava,
e al suo cantar fiorivano le rose.
Ma per sfuggire ad un maligno amante,
la bella giovinetta, un serpe infido
col piè candido colse: un solo istante,
e fu perduta senza nessun grido.
Verso lo Stige mosse il bel cantore
e ne passò le rive, e al dolce canto
narrò la storia del suo grande amore
e il suo dolore, ed il suo cuore infranto.
I signori dell’Ade a pietà mosse,
ché dalla lira a mano a mano un pianto
sì dolcemente uscì che ognun commosse,
ed Euridice dietro lui fu accanto.
Così poteva riportarla in vita,
al dolce lume, all’aria, alla sua mano…
Guardarla non dovea pria dell’uscita,
che solo un guardo rendea tutto vano .
E già saliva a lui la rediviva,
ma troppo fu il gran peso dell’amore;
guardò la donna sua che lo seguiva:
come nebbia svanì, come il suo cuore.
Rimoriva per sempre, ora, Euridice,
e dell’amato suo non valse il canto,
per troppo amore fu ancor più infelice,
e dalla cetra gocciò solo il pianto.
Nella boscosa Tracia, disperato,
Orfeo si rifugiò, negletto e solo.
Ad ogni donna ebbe l’amor negato,
e gli fu unico amico l’usignolo.
Le feroci baccanti in orgia e in festa
lo fecero prigione e, dilaniata
tutta la sua persona, la sua testa
dell’Ebro all’acque voller consegnata.
Sull’onde se n’andava la parlante
chioma di quel cantore inconsolato:
Euridice chiamava, nel sonante
correr del fiume, triste, inascoltato.
Si spense sulla terra ogni altra voce,
le ninfe afflitte cinser neri veli,
ogni belva tornò torva, feroce,
l’aria scurì, si rabbuiaro i cieli.
Ognuno fu più solo. I fiumi tutti
si ravvolser di nebbia dentro un manto:
non corressero più l’andar dei flutti
ed esondaron gonfi al troppo pianto.
Dagli dei alle femmine furenti
fatal morbo fu imposto. Poi più mesta
espiazion fu fatta; ed i lamenti
infin cessò quella spiccata testa.
Giove pietoso la divina Lira
nel cielo pose, tra le cose belle.
Ed ella vibra ancora, mentre gira
l’eterna sfera, alle incorrotte stelle.
Lido Pacciardi
Bellissimo!!!!! Bravo!!!!!!
Salve, vorrei sapere se questi bellissimi versi del mito di Orfeo ed Euridice appartengono a Virgilio o a Ovidio. Sono passati tanti anni da quando studiavo ed io non ricordo più… Grazie per l’attenzione ,Lucia Mariani.
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