Il mito di Ermafrodito e una riflessione sul ruolo di genere

Ermafrodito

Il mito non era solo una favola, una storia da raccontare. Nell’antica Grecia il mito permetteva la nascita di figure inspiegabili. Fra queste, gli ermafroditi.

Sospesi tra la sfera femminile e quella maschile, gli ermafroditi non sono mai scomparsi, mostrando le bizzarrie – o forse, semplicemente, le diversità – di un mondo spaventato da ciò che non riesce a categorizzare.

Provenendo da un passato lontano, il mito di Ermafrodito permette la nascita di una riflessione su un tema, oggi più che mai, attuale: il ruolo di genere.

Una tematica cara alla generazione Z, che sta attuando, a proposito, una vera e propria rivoluzione.

Con l’apparente motivo di trovare un senso, una spiegazione e un ordine, tutto viene racchiuso in categorie nette. Strette gabbie di contenimento, senza le quali, per molti, il mondo rischierebbe di cadere nel caos. È esistita per anni l’urgenza di una divisione che, è bene tenerlo presente, non ha riguardato solo il sesso biologico, ma l’imposizione di un genere a cui si deve obbligatoriamente – e soprattutto naturalmente – appartenere. Esiste la sfera femminile e quella maschile. Esiste la donna ed esiste l’uomo. Al di fuori, l’emarginazione e il rischio di sentirsi chiamare mostro.

Eppure, in modo lento e combattuto, le cose hanno iniziato a cambiare. La generazione Z sta attuando una vera e propria rivoluzione, riprendendosi spazi ampi, a lungo negati da confini scavati con ferocia. Se le generazioni del passato hanno avuto il bisogno di creare categorie, la generazione Z sente il bisogno di cambiare, rendendo giustizia a una normalità a lungo etichettata come mostruosa. In questo senso, il mito di Ermafrodito – come molti altri miti greci – può essere di estrema attualità.

Fluido e attuale. Il mito di Ermafrodito

Figlio di Ermete e Afrodite, Ermafrodito era un ragazzo di straordinaria bellezza, destinato a divenire oggetto di una passione travolgente. A innamorarsene perdutamente sarà una ninfa, Salmace. Colpita, infatti, da un sentimento inarrestabile, implorerà gli dèi di legarla per sempre a lui, senza che vi fosse più possibilità di separarli: fu così che i due vennero fusi in un unico corpo, dando vita a un essere ibrido, partecipe – in egual misura – della natura maschile e di quella femminile.

Una figura chiave, quella di Ermafrodito, quantomai attuale. Questo perché non si limita a rappresentare una verità biologica e scientifica, esistente in natura. Ma racchiude un mondo intero, fatto di sfumature non categorizzabili in un’unica, spenta, etichetta formale, imposta da canoni convenzionali.

L’ermafrodito diventa il simbolo di una realtà a lungo vessata. Non a caso, già a partire dagli anni Sessanta, appare come il vessillo della cultura Camp. Una rivincita non da poco, soprattutto se si pensa alle continue umiliazioni contro cui il mondo queer continua a battersi, o al fatto che, fino al XIX secolo, le persone “genitalmente doppie” – con la presenza di segni evidenti o appena accennati degli organi sessuali di entrambi i sessi – subirono indagini corporee, processi e condanne a morte per una condizione al di fuori dell’ordinario.

La rivoluzione della Generazione Z

La creazione di categorie ordinate ha implicato, inevitabilmente, aspettative a cui adempiere, dettate dal proprio genere d’appartenenza, all’interno della società. Comportamenti, mentalità, vestiario, norme binarie e patriarcali vengono inscritte al di sopra di un libretto da seguire alla lettera. Con eccezione degli Z.




La generazione Z, infatti, sembra possedere una maggiore consapevolezza delle variabili riguardo l’identità di genere e l’orientamento sessuale. Consapevolezze che li portano a riempire il vuoto nella narrazione linguistica e iconica – ereditata dalle generazioni precedenti e dalle strutture sociali che richiedevano definizioni nette – con norme nuove, scritte all’insegna di una libertà a lungo negata. Meno pudici, i giovani appaiono improntati verso una realtà nuova, sorprendentemente fluida.

Naturalmente, cambiamenti così radicali richiedono tempo e presentano difficoltà non indifferenti. Prime fra tutte, quelle stesse norme cementate e radicate nella mentalità di molti, frutto di educazione e precetti. Concetti difficili da sradicare, diventati ormai parte di una determinata visione del mondo, capace di riflettersi irrimediabilmente anche nel linguaggio. Ad esempio, i termini “sesso” e “genere” sono comunemente visti come intercambiabili. Ma il loro significato è sostanzialmente differente.

Il termine “sesso” include le caratteristiche strutturali, fisiologiche e funzionali degli individui, determinate dai cromosomi sessuali. Si sottintende, dunque, una divisione dicotomico-organica del tipo maschio/femmina. Il termine “genere”, invece, fa riferimento al modo in cui una persona può auto-rappresentarsi, che sia maschio o femmina.

La questione linguistica è complessa. I GenZ tentano l’introduzione di nuovi vocaboli, volti a comunicare non solo la propria identità, ma anche quella altrui. Sicuramente, tra i rischi vi è quello di cadere nello stesso processo che si tenta di demolire: quello delle etichette. Ma d’altra parte, la ricerca della propria identità, insieme a quella del cambiamento attraverso la sperimentazione, è un processo del tutto legittimo.

Molti storcono il naso, ma il cambiamento ha sempre preteso tempo, sbagli e tentativi. Tuttavia, al di là di ogni interpretazione, il riconoscimento di tutto ciò che in passato veniva definito unicamente come “diverso”, oggi rappresenta solo una cosa. Progresso.

Angela Piccolomo

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