Il mercato dell’intimità: esporre la propria interiorità sui social media

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Il “mercato dell’intimità” è un’espressione individuata da Umberto Galimberti vent’anni fa, nel 2002. Eppure, rimane ancora valida: consumismo e conformismo hanno portato al crollo del confine tra intimità ed esposizione agli altri. 

Al tempo non si parlava ancora di social media, ma successivamente il ruolo che hanno ricoperto è stato significativo nel contribuire a questo fenomeno: soprattutto per quello che, in sociologia, viene chiamato collasso dei contesti e le dinamiche che hanno sfumato il confine tra ciò che è pubblico e privato. 

L’esposizione del Sé per conformarsi (e cercare di distinguersi)

Umberto Galimberti individuò la caduta del confine tra l’intimità e l’esteriorità come caratteristica della società attuale. Le cause di questo crollo sono da ricercare in primis nel consumismo e nel conformismo, che già nel 2002 dilagavano sempre di più.

Nella società dei consumi, le merci per essere desiderate ed acquistate devono essere pubblicizzate e distinte l’una dall’altra, per cercare di sfuggire all’omologazione dei desideri dei consumatori. Così si propaga questa attitudine anche all’uomo, che «pubblicizza» il privato per mettersi in mostra, ed essere scelto, tenuto in considerazione e apprezzato. 

Questo mostrarsi al pubblico è stato oggetto di studio anche nella sociologia, ancora agli albori dei social network nel 2008. Queste vetrine digitali hanno però delle conseguenze nella nostra identità perché si scontrano con un pubblico frammentato, dove risulta difficile essere davvero autentici e se stessi, ma allo stesso tempo viene richiesto proprio per emergere e inserirsi nel mercato di cui parla Galimberti.





Il rapporto tra performance e audience nei social media

Danah Boyd e Nicole Ellison sono le autrici e sociologhe di riferimento del primo filone di studio sui social network (2008). Sono state le prime a sottolineare il passaggio dallo studio delle reti sociali online basate sul concetto di comunità (territoriali o di valori, passioni, etc.) ad un modello di studio basato sul concetto di performance individuale, dove la rete sociale viene identificata come destinataria della performance. La performance (del sé, delle reti sociali e dei gusti) e audience sono i due elementi centrali di questo paradigma di studi.

I profili costruiti sui social media sono luoghi di performance identitaria e diventano uno strumento per gestire le impressioni su di sé all’interno delle relazioni sociali. Sono spazi di ribalta dove performare l’identità mettendola a punto in base all’interazione con gli altri. Per fare questo ci si espone, si narra del sé, o conformandosi o cercando di distinguersi mostrando lati che fanno parte della propria interiorità.

Il proprio profilo sui social è anche uno strumento di affiliazione culturale, che dà la possibilità di identificarsi con persone che hanno le stesse affinità su vari fronti.

Una performance come atto consapevole e interattivo richiede sempre la presenza di un’audience partecipe. Tuttavia quelle online sono audience invisibili, multiple e disconnesse. È un pubblico astratto, appartenente a contesti diversi tra loro e che ha la possibilità di fruire i contenuti in un momento successivo alla pubblicazione.

Il collasso dei contesti e la fluidità tra pubblico e privato

Queste audience così diversificate portano all’accumulazione di diverse cerchie relazionali, che seppur lontane tra loro si uniscono in una sola. La mancata separazione tra pubblici sociali differenti porta al collasso dei contesti, dove i diversi pubblici convergono e osservano la performance sotto diversi punti di vista secondo le relazioni che hanno con il performer. 

L’individuo che comunica deve quindi immaginare una molteplicità di pubblici diversi e adeguare a queste audience lo stile e il linguaggio dei propri contenuti, con due rischi: l’errata immaginazione dell’audience (pubblico ideale verso il pubblico reale) e raggiungimento di comunicazione inappropriate ad alcuni pubblici.

Per non correre questi rischi le persone creano uno spazio egemonico, mainstream, dove si auto-censurano le posizioni personali alternative, perché si percepisce il rischio di poter urtare qualcun altro. Qui si ritorna al conformismo citato anche da Galimberti.

L’assenza di controllo sul contesto genera fluidità fra pubblico e privato. Le due dimensioni si intersecano producendo nuove forme di privato in pubblico e rendendo problematico il controllo su quanto siano pubblici i contenuti condivisi: questo genera problemi legati alla gestione della privacy.

L’attualità del pensiero galimbertiano

Questa esposizione tange ciascuno di noi, tanto da rendere la nostra identità quasi ormai al di fuori di noi, puntando sulla credibilità e l’approvazione altrui anziché sulla autenticità.

Il conformismo lavora per portare a galla ogni segreto e per apprezzare ogni volontaria esibizione di sé come fatto di lealtà verso l’audience. Tutto questo porta a compimento l’omologazione della società. Così Galimberti descrisse questo fenomeno:

Dobbiamo costruirci ogni giorno una faccia con cento lingue e mille parole per poter abitare tutte le situazioni che il mondo pubblico ci ha preparato. Chi infatti non irradia una forza di esibizione e di attrazione più intensa degli altri, chi non si mette in mostra e non è irraggiato dalla luce della pubblicità non ha la forza di sollecitarci, di lui neppure ci accorgiamo, il suo richiamo non lo avvertiamo, non ce ne lasciamo coinvolgere, non lo riconosciamo, non lo usiamo, non lo consumiamo, al limite «non c’è». Per esserci bisogna dunque apparire.

Valentina Volpi

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