Il mentoring… ovvero trovare qualcuno che cammina al tuo fianco

il mentoring

Che cos’è il mentoring? Immagina di aver bisogno di un consiglio… non dal tuo capo, che potrebbe essere di parte, o dai tuoi amici, che magari ne sanno meno di te, ma un consiglio disinteressato da parte di chi ha fatto più o meno il tuo stesso percorso accademico-professionale, che ha incontrato i tuoi stessi ostacoli e poi li ha superati. Qualcuno che ti dia delle ‘dritte’ o semplicemente sostegno e comprensione nel momento in cui ti trovi a muovere i primi passi nel mondo del lavoro. Ecco, questo supporto si chiama mentoring e quella figura mitologica tanto agognata è il tuo mentore.

Mentor, chi?

Il termine ‘mentoring’ deriva dal greco ‘Μεντωρ’, ovvero Mentore, e si riferisce alla figura omonima del poema omerico l’Odissea. Mentore è infatti il nome del consigliere di Ulisse, che – prima di partire per la guerra di Troia – gli affida la formazione e il compito di preparare il figlio Telemaco a succedergli al trono.

“Crescere è doloroso. Chiunque vi dica il contrario sta mentendo”

dice Meredith Grey, la protagonista di Gray’s Anatomy, in un episodio dell’acclamata serie tv. Beh, lo è sicuramente fino a quando non incontri qualcuno che si interessa a te.

Avere un mentore è un grande acceleratore di crescita e un fattore di successo. Il mentore (o mentor) è un professionista che mette a disposizione il proprio tempo e la propria professionalità per aiutare il suo pupillo (o mentee) ad affrontare le prime esperienze lavorative.

Si basa tutto sull’ideale del “give-back”, cioè sul restituire un po’ di quello che la vita ti ha dato, cercando di rendere il mondo del lavoro un posto migliore.

Meglio il mentoring o il modeling?

Per molti anni è andato particolarmente di moda il ‘modeling’, ossia l’identificazione di un modello a cui aspirare per sviluppare un metodo di apprendimento basato sull’imitazione. Se sei uno di quelli che fa scorpacciate di libri autobiografici e hai la libreria – o il Kindle – piena di autobiografie, probabilmente sai a cosa mi riferisco.

Io, per esempio, seguo su LinkedIn “Career Leadhers”, una community fondata da Federica Segato, che racconta storie di donne di successo al fine di ispirare il genere femminile a seguirne le orme.

Avere però un modello da imitare e pensare di diventare come lui/lei è pericoloso, perché si rischia di perdere la propria originalità e perché i fattori che hanno portato al successo del proprio modello potrebbero non essere replicabili.

Meglio avere dalla propria parte qualcuno che ti insegni a usare gli strumenti necessari a raggiungere il successo, ma essere tu stesso a guadagnartelo con i tuoi modi e i tuoi tempi.

Esiste anche il reverse mentoring: di cosa si tratta?

Non solo i giovani possono imparare dai ‘grandi’, ma vale anche il contrario: è questa la filosofia del reverse mentoring.

Una volta entrati a far parte dell’organico di un’azienda o organizzazione – specialmente in Italia – ci si trova spesso a lavorare con persone di parecchi anni più grandi. Non è un incontro facile: il giovane è preso dall’entusiasmo della nuova avventura ed è pieno di ambizioni, ma deve fare la gavetta, mentre i ‘grandi’ sono stanchi di dinamiche che subiscono ormai da chi sa quanti anni e vogliono proteggere il proprio ruolo. Ha inizio lo scontro generazionale: cosa fare?




Con il reverse mentoring, si può azionare uno scambio di competenze ed esperienze bilaterale ed inter-generazionale: da una parte, le figure senior trasferiscono le proprie competenze e l’esperienza maturata ai profili junior, supportandone l’orientamento e la crescita, dall’altra i profili junior restituiscono il favore trasmettendo ai propri senior competenze in ambito digital e un approccio più fresco, globale e all’avanguardia.

Questa soluzione può quindi migliorare al contempo la relazione tra colleghi e creare valore.

Perché il mentoring?

In un mondo particolarmente competitivo, sempre così di corsa e sempre così di fretta, capire in anticipo quali sono le competenze richieste dal mercato del lavoro offre un vantaggio concorrenziale.

Purtroppo, non sempre i professori o i tutor hanno il tempo e le risorse necessarie per intuire le esigenze di tutti gli studenti e poi seguirli in maniera dedicata. Per questo motivo, i programmi di mentoring potrebbero rivelarsi il giusto mezzo per colmare tali lacune e avvicinare un po’ di più il mondo professionale e quello accademico.

I programmi di mentoring, però, non devono essere scambiati per agenzie di collocamento e gli studenti che vi aderiscono devono essere consapevoli di doversi assumere sempre la responsabilità delle proprie scelte, perché nessuno può insegnare agli altri come vivere la propria vita. La differenza sta nel fatto di avere un punto di riferimento: qualcuno con cui confrontarsi che abbia una prospettiva più matura, che li aiuti ad anticipare problemi a cui non avevano pensato o che gli mostri opportunità che non sapevano di avere.

Vi racconto la mia esperienza.

Durante i miei studi universitari, ho deciso di candidarmi a un programma di mentoring basato sul merito organizzato della onlus Mentors4U. Per mia fortuna, sono stata selezionata tra il top 25% degli studenti vincitori e poi assegnata a un Mentor che viveva a Londra.

Non ci sentivamo troppo spesso (Mentors4U richiede ai propri Mentor di dedicare ai Mentee un tempo minimo quantificato come 30-40 minuti di chiamata per trimestre) e probabilmente non mi ha cambiato la vita, ma sapere di avere qualcuno a cui rivolgermi senza essere giudicata nel caso in cui avessi avuto qualche domanda, anche stupida, mi dava sollievo. Per questo, qualche mese fa, una volta maturati gli anni di carriera minimi per essere elegibile, ho deciso di candidarmi come Mentor e sono stata finalmente associata a una ragazza vulcanica e divertente.

Non sapevo bene come impostare la nostra relazione (lei studia all’estero e io lavoro a Milano) per questo ho voluto parlarle al telefono in modo da presentarci e chiederle che cosa si aspettasse: niente di particolare o straordinario. Come me, ha scelto una professione diversa da quella dei propri genitori. Come me a suo tempo, cerca qualcuno con cui confrontarsi e che magari le dia qualche suggerimento utile; qualcuno che non sia un collega universitario o coetaneo, ma che abbia già entrambi i piedi nel mondo del lavoro. Con mio enorme sollievo, non è rimasta delusa dal fatto che anche io sia abbastanza giovane o che non sia – ancora, si spera – un grande manager o un capo d’azienda. E forse, pensandoci bene, uno di questi personaggi non se la sarebbe presa tanto a cuore.

Quello a cui aspiro è un mondo del lavoro più meritocratico e questa è una forma di volontariato che mi aiuta a crescere aiutando gli altri e facendo qualcosa che mi piace.

Senza una fiducia totale, non vi può essere trasmissione spirituale. Tu mi hai risposto: “io ho fiducia in te”. Ma non è questo l’importante. Ciò che conta è avere fiducia in te stesso. Una fiducia assoluta. Questo è tutto ciò che un maestro cerca di far dischiudere nel suo allievo. Senza fiducia assoluta in sé stessi, non vi è apertura del Cuore. (“Tantra. L’iniziazione di un occidentale all’amore assoluto” di Daniel Odier)

Giulia De Vendictis

 

 

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