Per criticare e destabilizzare un’istituzione longeva e talmente connaturata nel costume come il matrimonio, bisogna sostenere argomenti più che validi e non lasciarsi intimidire dalla politica che, ogni giorno, tenta in tutti i modi di dirti chi sei.
È particolarmente facile infatti, quando si tratta di convenzioni sociali, giudicare dal proprio punto di vista, che quasi mai combacia con quello degli altri. Lo sanno bene Jung Se-young e Baeck Ha-na, due giovani You Tubers di Seoul, Sud Corea. Le due ragazze ventiseienni hanno dato inizio al #NoMarriage Movement, campagna social finalizzata a un importante obiettivo: affermare la libertà delle giovani donne sudcoreane che decidono di non sposarsi. Essere però una “Bi-hon” nel Sud della Corea non è affatto semplice.
In Sud Corea, come in Asia in generale, le donne non sposate vengono discriminate e considerate strane e lontane dalla normalità, se decidono di rimanere tali.
Come emerge dall’intervista a Jung Se-young e Baeck Ha-na, l’anima del #NoMarriage Movement è dunque protesa nel cercare di cambiare le aspettative della società coreana, che tratta le donne come un affare della famiglia, soggette all’autorità di quest’ultima.
Le aspettative della società coreana coincidono con quelle del patriarcato che lavora sulla giovani donne come una mano invisibile.
Le donne sarebbero indotte a sposarsi e a perpetuare in questo modo il sistema patriarcale. I media contribuirebbero a questa spinta che, in quanto tale, trasforma una scelta che dovrebbe essere assolutamente personale, in una questione politica.
Il matrimonio è davvero una scelta individuale?
Il #NoMarriage Movement si batte al fine di rendere le donne sudcoreane più consapevoli, perché non si tratta soltanto di decidere se ci si voglia sposare o meno. Bisogna rendersi conto se il desiderio verso il matrimonio sia effettivamente una volontà del proprio pensiero o una scelta strategicamente mediata.
Anche Jung Se-young e Baeck Ha-na hanno fatto una scelta. Hanno consapevolmente deciso di non sposarsi, vivendo in una società dove “sessismo” e “maschilismo” sono delle realtà per nulla lontane.
Jung Se-young e Baeck Ha-na si mostrano felici della loro decisione. Non c’è l’ombra di quel velo di solitudine o di “stranezza” che, a tutti i costi, la società sudcoreana tenta di cucire loro addosso.
In Corea del Sud, come in Asia in generale, non esistono infatti “le vie di mezzo”. Dunque o ti sposi o sei solo. Questa concezione è già spia della commiserazione sociale riservata alle donne che invece fanno una scelta opposta al matrimonio. Come se non esistesse realizzazione e soddisfazione aldilà del rassicurante “marito e moglie”.
Sembra invece che una nuova consapevolezza stia coinvolgendo sempre più donne nel Sud della Corea. Il tasso di natalità ne ha risentito e si è fortemente abbassato.
Le conseguenze sono quanto di più sessista il governo potesse mettere in atto. Per scongiurare il calo demografico in Sud Corea, gli uomini ricevono infatti degli incentivi fiscali se si sposano con donne straniere. Inutile precisare, ma forse non è mai abbastanza, che tutto ciò relega la donna in una posizione dove la sua persona coincide con un oggetto, che può essere facilmente “contrattato”.
Cosa succede invece nel resto del mondo? La critica al matrimonio oggi si sta dilagando sempre più. In passato si sa che le lotte femministe ne hanno decretato il carattere di gabbia invisibile, che ha sempre tarpato la libertà individuale della donna. La critica al matrimonio non ha messo in discussione soltanto la libertà femminile. Anche l’uguaglianza di genere è stata spesso messa in pericolo dal matrimonio stesso, che in passato, ma ancora oggi in tante culture, significava per la donna un ruolo subalterno e di sottomissione al marito.
La società spinge ancora oggi verso il matrimonio o alla vita di coppia in generale? Qual è il posto riservato a coloro che scelgono consapevolmente una strada diversa?
Appare evidente quanto il costume, le abitudini e il sentire comune nei confronti del matrimonio anche in Occidente siano cambiati. Sempre di più si percepisce infatti una spinta verso l’individualità o allo stare insieme senza vincoli legali e “socialmente accettabili”, come prima era considerato il matrimonio.
Vivere in una società plurale dovrebbe significare la possibilità di una scelta, in una o nell’altra direzione, senza l’interferenza di forze dall’alto. Probabilmente in Italia e nel resto dell’Europa oggi non c’è bisogno di un #NoMarriage Movement, ma allo stesso tempo l’esempio del Sud Corea può farci riflettere sul binomio consuetudine sociale e discriminazione.
Queste sovrastrutture agiscono infatti molto facilmente, interferendo in diversi ambiti delle proprie scelte personali.
Forse in Italia ormai non è più necessario sposarsi per essere socialmente accettate, ma lo stesso trattamento “di favore” non viene ancora riservato, per esempio, alle donne che scelgono di non avere figli. “Ah, non ha figli? Ma non vuole averne?” Queste sono solo un accenno delle domande che, ancora oggi, rimbalzano con stupore in diverse conversazioni.
Quanto siamo liberi di scegliere chi vogliamo essere? La consapevolezza è il primo passo.
Claudia Volonterio