Il massacro di San Valentino, quando sull’amore prevalse la morte

Il massacro di San Valentino

Era il 14 febbraio del 1929 e, mentre l’America intera si affaccendava a celebrare l’amore, gli uomini di Al Capone, presumibilmente, si apprestavano a fare la festa alla gang criminale di Bugs Moran. Episodio passato alla storia con il funesto nome di Massacro di San Valentino. Per i più romantici, infatti, il 14 febbraio altro non rappresenta se non il trionfo dell’amore. Messaggi zuccherini, cene a lume di candela,  peluche rubicondi e fiumi di cioccolatini. E sullo sfondo il colore più rovente di quelli primari. Rosso come l’amore, il cuore, la passione e…il sangue. Quel 14 febbraio del ’29, la città di Chicago si tinse di un vivace rosso sangue.

Lo sfondo socioculturale del massacro di San Valentino

Consumato, ironia della sorte, nello stesso giorno in cui il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud,  dava alle stampe la famigerata analisi sul rapporto tra Eros e Thanatos, il massacro di San Valentino rappresenta, a distanza di poco meno di un secolo, un tassello cruciale nell’avviluppamento dei rapporti criminali tra Italia e Stati Uniti. Quel giorno, il 14 febbraio del 1929, tra le due antinomiche pulsioni, prevalse l’istinto di morte. Ci troviamo in una Chicago impastoiata dai veti sprigionati dal proibizionismo.

Dopo decenni di aggressive battaglie giuridiche, l’America aveva finalmente deciso di dare ascolto alle frange conservatrici del Paese, applicando il divieto di fabbricare, vendere, trasportare e importare sostanze inebrianti. E il loro consumo, invece? Be’, di nascosto, forse… Le sostanze alcoliche erano nocive per il corpo e per l’anima degli americani, ma soprattutto per la loro immagine. Le intenzioni del conatus erano anche rispettabili, se non fossero nate da un imperativo morale e religioso che, come tutte le imposizioni applicate fanaticamente, produsse l’effetto contrario. Il proibizionismo aveva, infatti, esacerbato condotte illecite e occulte, arricchendo distillerie clandestine ed espandendo gli affari di contrabbandieri e gangster.

L’ascesa di un mito del male

Trafficare armi e contrabbandare bevande alcoliche era diventato, in una Chicago ormai vergata dalla criminalità e dalla pericolosità sociale, un business eccellente. Nella “Windy City “, il vento che soffiava nel ’29, premoniva morte e devastazione. I regolamenti di conti tra gang rivali erano ormai all’ordine del giorno, rendendo le strade di Chicago tra le più pericolose d’America. In questo atollo di criminalità, il giovane Alphonse, confidenzialmente chiamato “Al”, Capone tracciò il prologo della sua ascesa. Che coincise, prevedibilmente, con l’origine della sua caduta. Il temerario Scarface, soprannominato così per il taglio sul volto intascato in una faida, si trasferì da New York a Chicago all’età di 20 anni, fiutando l’aria turpe che si respirava in quel pantheon di criminali.

Le origini di Al erano italiane e il sangue che scorreva nelle sue vene pareva provenire direttamente da quel sistema circolatorio compromesso dalla mafia.  Una quasi lombrosiana propensione alle attività illecite, quindi. Tanto che Il Volstead Act, il testo legislativo che ha istituito il proibizionismo nel 1919, fu per Capone provvidenziale. Nel 1929, se la politica e il tessuto sociale del Continente, giunto all’antiporta della grande crisi nera dell’ottobre dello stesso anno, vacillava, lo stesso non poteva dirsi per gli affari illeciti. Fu, anzi, la golden age dell’illegalità e del crimine organizzato. È proprio in questo clima di grande tensione e fermento che l’italoamericano Capone, ormai trentenne, intavola l’ascesa.

La solida carriera criminale di Scarface

Quando Scarface si trasferì a Chicago era solo un ventenne ma poteva vantare già una carriera criminale di tutto rispetto. Alla sola età di 11 anni, abbandonati gli studi, si aggrega alle bande dei South Brooklyn Rippers prima e dei Forty Thieves Juniors poi, finendo presto per far parte della spietata Five Points Gang, capitanata da Johnny Torrio. È proprio Torrio a disporre il suo trasferimento nella “Chicago Outfit, più vicino agli affari.



Agli esordi del proibizionismo, Capone gestisce il night club Four Deuces. Attività che, sottobanco, sovrintende uno speakeasy, una bisca e un bordello. Le alleanze create da Torrio e gestite su piazza da Capone non riescono, però, tutte a rinsaldarsi. Se l’intesa con l’Unione Siciliana pare marciare bene, lo stesso non può dirsi degli irlandesi della North Side Gang di Dion O’Banion. Le continue rappresaglie e la contesa per la gestione del mercato conducono inevitabilmente a una dichiarata guerra fra bande.

Una faida decennale, prima del massacro di San Valentino

Il trasferimento di Al Capone a Chicago ispessì i circuiti criminali di una Chicago già salita agli onori della cronaca per la sua pericolosità sociale. Dopo dieci anni di incessanti contese, spesso finite in veri e propri raid letali, il criminale italoamericano decide di porre fine alla disputa con gli irlandesi per il controllo del territorio. In quella gelida e plumbea mattina del 14 febbraio 1929 una Cadillac nera si arresta davanti al garage della SMC Cartage Company, usato come deposito di alcolici dalla North Clark Gang irlandese.

Scendono dall’auto quattro uomini, due dei quali vestiti da poliziotti, mentre il quinto rimane al volante, pronto a ripartire dopo aver saldato il conto. Presi alla sprovvista, gli uomini di Moran, il boss della banda irlandese, si lasciano disarmare. Messi al muro, il plotone di esecuzione italoamericano ne uccide sette ma non Moran che, salvato da un contrattempo, arriva in ritardo sul luogo del delitto.

Tante le ipotesi ma nessun colpevole

Ancora oggi, a distanza di quasi un secolo dal massacro di San Valentino, si indaga sul movente della furia pluriomicida. Alcune ipotesi fanno risalire il regolamento di conti a un tentativo, chiaramente fallito, di assassinare Jack McGurn, il Machine Gun della banda di Capone. Un’altra pista, invece, implica la partecipazione del buon, vecchio Torrio, maestro di Scarface. “La volpe”, così veniva chiamato il criminale, avrebbe incaricato il suo pupillo di far piazza pulita nell’aria Nord della città, affidata agli irlandesi. Quel che è certo è che, all’indomani del delitto, anche una città fuorilegge come Chicago rimase sconcertata da quello che passò alla storia come il massacro di San Valentino.

Titoloni di giornale che restituivano immagini estremamente feroci e insanguinate e aprivano una caccia all’assassino. L’intera area settentrionale della stravolta Chicago venne battuta da poliziotti, giornalisti, giustizieri privati, ma della Cadillac nera neppure l’ombra, come se i torvi vicoli la avessero inghiottita. Indagini sopra indagini si susseguirono subito dopo e per molti anni avvenire, ma mai nessuna autorità riuscì a provare la colpa di Al Capone. Il criminale, cui sono riconducibili oltre 200 omicidi, venne arrestato nel 1931. Capo d’accusa: evasione fiscale e violazione della legge sul proibizionismo. Nessuna menzione, dunque, al massacro di San Valentino, che finisce meritatamente tra le prime fila dei crimini irrisolti più affascinanti di sempre.

Martina Falvo

 

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