In un recente articolo pubblicato dal The Indipendent, nuovi dati svelano un allarmante incremento nel numero di donne che perdono la vita a causa di malattie legate all’alcol nel Regno Unito. Questa tendenza è stata identificata come il risultato di strategie di marketing mirate deliberatamente alle donne da parte di alcune aziende del settore degli alcolici.
Tra il 2016 e il 2021, il numero di donne decedute a causa di malattie alcol-correlate nel Regno Unito è salito del 37%, passando da 2.399 a 3.293, rappresentando il livello più alto mai registrato. In un’intervista al The Independent, il Dott. Richard Piper, AD dell’Associazione Alcohol Change, ha puntato il dito contro il marketing degli alcolici indirizzato alle donne, definendolo il principale catalizzatore di questa impennata mortale, enfatizzando la necessità di una regolamentazione più severa nella pubblicità degli alcolici per contrastare questa preoccupante tendenza.
Consumo di alcol in Italia
Nel corso del 2021, secondo quanto emerso dalla relazione annuale sul consumo di bevande alcoliche nel nostro Paese presentata al Parlamento il 26 giugno 2023, ben 7,7 milioni di italiani di età superiore a 11 anni (il 20% degli uomini e l’8,7% delle donne) hanno consumato quantità di alcol che li hanno esposti a gravi rischi per la salute.
Particolarmente preoccupante è la situazione dei giovani, con circa 1.370.000 individui nella fascia di età 11-25 anni, di cui 620.000 sono addirittura minorenni. Le donne, in crescita dal 2014, contano circa 2,5 milioni di consumatrici a rischio, con picchi del 29% tra le minorenni 16-17enni. Anche gli anziani, pari a 2,6 milioni, presentano una percentuale preoccupante. Allo stesso modo, i binge drinker, ossia coloro che bevono per ubriacarsi, sono 3,5 milioni, con una predominanza maschile, incluso un numero significativo di minorenni.
Nonostante una riduzione rispetto al 2020, le donne mantengono livelli di consumo stabili, senza alcun calo nei casi di intossicazione. I consumatori dannosi di bevande alcoliche sono 750.000, con un calo rispetto al 2020 concentrato principalmente negli uomini. In contrasto, le donne vedono un aumento, con 300.000 consumatrici che presentano danni correlati all’alcol. Tra i 750.000 consumatori dannosi, solo l’8,5% con Disturbo da Uso di Alcol (DUA) è stato identificato, portando il totale degli alcolisti sotto la tutela dei servizi del Sistema Sanitario Nazionale a 63.490, con un preoccupante trend di costante decremento.
Parallelamente, nei Pronto Soccorso (PS) degli ospedali, si è registrato un totale di 35.307 accessi nel 2021, di cui circa il 10% richiesto da minori, soprattutto di sesso femminile, in proporzione doppia rispetto ai coetanei maschi.
Considerando i dati del 2021 sul monitoraggio alcol-correlato e il contesto temporale, l’Osservatorio Nazionale Alcol (ONA) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha diffuso alcune riflessioni sulle implicazioni di salute pubblica che mirano a delineare una strategia di riduzione dell’impatto dell’alcol sulla salute della popolazione italiana. È stata sottolineata la necessità e l’urgenza di una prevenzione nazionale alcol-correlata, efficace e in grado di individuare precocemente il maggior numero di consumatori a rischio, soprattutto donne e giovanissimi, a supporto degli obiettivi delle strategie europee e globali.
Il marketing degli alcolici
L’ascesa del consumo di alcol, in netto contrasto con la sua percezione sociale, pone una serie di interrogativi sulle strategie di marketing che ne favoriscono la diffusione. A differenza di altre sostanze, come il tabacco, e nonostante i rischi per la salute, l’alcol sembra godere di un’immunità sorprendente rispetto alla stigmatizzazione sociale e alle restrizioni nella sua pubblicizzazione.
Eppure è nota ormai la correlazione tra l’esposizione alle strategie di marketing, soprattutto sui social network, e le caratteristiche di consumo.
La rapida diffusione delle piattaforme digitali ha infatti permesso alle aziende di sfruttare nuovi canali di comunicazione che, a differenza delle pubblicità tradizionali, permette loro di pubblicizzare i propri prodotti attraverso una moltitudine di approcci, diffondendoli in modo virale tra gli utenti o indirizzandoli verso specifici target di destinatari.
Inoltre, il tipo di narrazione che viene spesso usata nelle campagne pubblicitarie tende a far passare il messaggio per cui l’alcol può migliorare l’umore, il successo sociale e la fiducia in se stessi. Secondo l’OMS, limiti alla pubblicizzazione di alcolici dovrebbero riguardare soprattutto le nuove categorie di consumatori, cioè donne e giovani, che rappresentano per le aziende enormi mercati da conquistare e per questo motivo tendono a rappresentare l’alcol come qualcosa di appetibile. Soprattutto per le donne l’alcol viene spesso associato a messaggi di emancipazione, forza e uguaglianza rispetto agli uomini.
Un’indagine condotta dalla professoressa Carol Emslie, esperta di uso e abuso di sostanze presso la Health and Life Sciences at Glasgow Caledonian University, ha evidenziato come le aziende che vendono alcol sfruttino il desiderio delle donne di preservare la propria identità durante le diverse fasi della vita. Secondo Emslie e il suo team, molte donne tra i 30 e i 40 anni considerano il bere come un modo per “esprimere la propria identità al di là delle responsabilità associate all’essere una donna di mezza età”, come ad esempio gestire le pressioni legate alla carriera o alla cura dei figli. Riunirsi per qualche bevanda dopo il lavoro per ridere e rilassarsi diventa particolarmente importante per loro, sottolinea la professoressa.
Questi desideri diventano il punto focale degli sforzi di marketing per convincere le donne ad acquistare alcolici. La professoressa Emslie sottolinea un cambio di prospettiva:
“Abbiamo visto un passaggio dal sessualizzare le donne per vendere alcol agli uomini ai brand che provano ad allineare i propri prodotti a concetti come la raffinatezza, l’empowerment femminile e l’amicizia tra donne”.
L’approccio tradizionale di mercato che puntava sulla sensualità femminile per attirare il pubblico maschile sta cedendo il passo a una strategia più sottile, mirata a connettere i prodotti alcolici con valori e esperienze che risuonano con le donne moderne. Questo spostamento rappresenta non solo la mercificazione di valori e rivendicazioni in funzione del consumo, ma mette in evidenza anche come gli interessi economici e di mercato hanno ancora la priorità rispetto alla salute pubblica.
Perché il marketing degli alcolici è pericoloso
I profondi cambiamenti che hanno investito la nostra società hanno influenzato notevolmente anche le abitudini del bere di gran parte della popolazione. Tale processo ha coinvolto tutti gli strati sociali, tra questi anche le donne, che hanno aderito a modelli comportamentali spesso considerati prerogativa esclusiva del sesso maschile. L’incremento nel consumo di alcol e fumo è relativamente recente e mostra un radicale cambiamento dell’universo femminile, proponendo nuovi modelli di vita familiare, lavorativa e sociale.
Ciò che non bisogna sottovalutare, come puntualizza anche l’ISS, è che l’effetto di tali comportamenti portano, esattamente come per il genere maschile, a un aumento di malattie alcol e fumo-correlate, apportando un danno importante per la salute di milioni di italiani e italiane.
L’OMS stima che nell’UE, i prodotti alcolici siano responsabili dell’8-10% circa del carico totale di malattia dell’individuo. Il danno provocato dall’alcol impone un carico economico stimabile intorno al 2-5% del PIL di una nazione industrializzata. Parliamo di costi sanitari e sociali che gravano sull’individuo e sulla società e che porta a perdita di produttività, invalidità e mortalità precoce.
È inoltre importante tenere presente che le donne, avendo percentuali di acqua inferiori rispetto ai maschi adulti, possono presentare un’alcolemia più elevata rispetto agli uomini a parità di consumo. Di conseguenza, le donne, così come gli anziani, hanno meccanismi di metabolizzazione dell’alcol meno efficaci, il che le rende più vulnerabili agli effetti dell’etanolo.
L’alcol, come classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, è una sostanza tossica, psicoattiva e che produce dipendenza ed è un cancerogeno di gruppo 1 che è causalmente collegato a sette tipi di cancro, tra cui tumori dell’esofago, del fegato, del colon-retto e del seno. Inoltre, l’alcol rappresenta la causa principale e sufficiente per diversi disturbi, tra cui la dipendenza da alcol, la cirrosi epatica, molte altre malattie non trasmissibili e condizioni di salute mentale.
Il consumo di alcol è associato a 740.000 nuovi casi di cancro ogni anno a livello globale (2) e la IARC ha messo a disposizione uno strumento di valutazione e stima dell’impatto dell’alcol sull’incidenza di cancro in funzione delle differenze di genere e di livelli di consumo. Nell’UE, il consumo di alcol da “leggero” a “moderato” è stato associato a quasi 23.000 nuovi casi di cancro nel 2017, pari al 13,3% di tutti i tumori attribuibili all’alcol e al 2,3% di tutti i casi dei sette tipi di cancro correlati all’alcol. Quasi la metà di questi tumori (circa 11.000 casi) erano tumori al seno femminili.
Non essendo possibile stabilire una quantità sicura di consumo di alcol per i tumori e la salute, è fondamentale (così come viene già fatto per il tabacco) che i consumatori di alcol vengano oggettivamente e correttamente informati sui rischi di cancro e di altre condizioni di salute associate all’uso e non solo all’abuso di una qualunque bevanda alcolica.
Secondo l’OMS, a livello nazionale, il controllo o il divieto della commercializzazione dell’alcol, compresi i suoi aspetti transfrontalieri, dovrebbero essere parte integrante delle strategie di sanità pubblica volte a ridurre l’uso nocivo dell’alcol e a limitare i danni che causa. Poiché l’alcol è un bene di consumo e come tale destinato a un mercato, è fondamentale che la politica, sia europea che nazionale, intervenga per fronteggiare e superare la tipica narrazione che associa messaggi positivi e attrattivi nei confronti delle bevande alcoliche e che tenga conto anche di tutte le problematiche e i rischi legati al loro consumo, specialmente per le categorie più vulnerabili.