No. Non si tratta di promuovere prodotti mediocri solo perché a crearli sono donne. Non si parla nemmeno di scartare i lavori degli uomini a prescindere, penalizzando la meritocrazia. Condannare il ‘male gaze’ significa prendere coscienza che nel mondo dell’arte, particolarmente nel cinema, esiste un’importante disparità fra i due sessi. Un dislivello che plasma in maniera significativa il giudizio sulle registe, rilegandone le opere a un pubblico femminile.
Cos’è il male gaze
Coniato dalla studiosa di cinema Laura Mulvey nel 1975, il termine si riferisce letteralmente allo sguardo maschile che domina i media, imponendo la propria prospettiva riguardo il ruolo delle donne. Il corpo femminile risulta spesso oggettificato e sessualizzato, sia perché è un uomo a scegliere come rappresentarlo, sia perché molti prodotti cinematografici vengono concepiti per piacere a un pubblico maschile ed eterosessuale. Gli esempi si sprecano, ma la scena di Megan Fox che aggiusta l’auto nel film Transformers 3 è particolarmente lampante. Mentre il personaggio sta rivelando dettagli significativi sulla sua vita, la videocamera di Steven Spielberg si concentra sul suo corpo e sulle reazioni della controparte maschile. La donna è contemplata nella sua bellezza, poco importa cosa abbia da dire.
I ruoli femminili sono secondari
Tuttavia, il male gaze non si limita a inquadrature provocanti e raffigurazioni innaturalmente sexy delle attrici: riguarda anche l’attenzione e lo spazio che ad esse è concesso nella trama del film. È questo un aspetto più sottile, ma ugualmente insidioso. Le donne sono ingabbiate in ruoli predefiniti, perlopiù stereotipati e sessisti (la ex pazza, la direttrice perfida e spietata, la damigella in pericolo …). In molti casi, il loro contributo è unicamente funzionale alla caratterizzazione del protagonista maschile, o a stimolare le fantasie del pubblico di riferimento. Non solo vi sono precisi canoni estetici, ma anche determinati immaginari di come la donna debba comportarsi.
Il cinema è perlopiù fatto da uomini
Tutto ciò si spiega molto facilmente: l’industria della produzione e della critica cinematografica è prettamente maschile. Non dovrebbe stupire come, ad essere premiati o accolti positivamente, siano soprattutto i lavori di uomini. Quando a girare film sono registi, che si rivolgono a un’audience maschile o comunque affine alle logiche patriarcali, a definire cosa è bello e innovativo sarà naturalmente il male gaze. Serie tv come L’amica geniale o Fleabag sono molto valide, ma purtroppo etichettate come produzioni per un pubblico femminile e dunque non degne di interesse. Insomma, è raro che una produzione diretta da donne sia considerata un capolavoro in senso assoluto, un classico. Più probabilmente, le creazioni di una regista potranno essere apprezzate e distinguersi “nel loro genere”. Prendere coscienza di ciò è la chiave per riformare il sistema di giudizio di un’élite cinematografica maschile, che continua a promuovere un unico punto di vista, auto-preservandosi.
La decisione di Keira Knightley
Recentemente, a prendere posizione contro il male gaze è stata Keira Knightley. L’attrice ha infatti dichiarato che non girerà più scene di nudo, se non diretta da una realizzatrice donna. Knightley racconta di aver recitato in scene che l’hanno messa fortemente a disagio in passato, ma che ad oggi ha la possibilità di scegliere e vuole sfruttare la propria voce per reclamare più eterogeneità nei ruoli decisionali, più realisticità nel trattare storie femminili.
L’importanza di condannare il male gaze
Decostruire il male gaze nel cinema potrebbe non sembrare una priorità nella lotta per l’uguaglianza dei generi, ma è davvero importante.
Innanzitutto, quello della meritocrazia è un meccanismo inceppato nel cinema come in altri ambiti: per poter emergere, alle donne è richiesta la perfezione. Se vogliono gareggiare al pari dei colleghi del sesso opposto, registe, avvocate, ingegnere, o dottoresse devono lavorare il doppio. In secondo luogo, ripensare un sistema disequilibrato come quello dell’industria cinematografica è uno dei punti di partenza nel cambiare la rappresentazione della donna nella società intera. Quello che vediamo in tv, al cinema o sui social influenza le nostre percezioni della realtà. Se l’universo femminile è continuamente sminuito e riprodotto tramite cliché, sarà molto difficile abbatterli nella vita quotidiana. È ora di permettere all’altra metà della popolazione mondiale di raccontarsi e di ascoltarla con la stessa attenzione che, fino ad ora, è stata privilegio esclusivo degli uomini.
Alessia Ruggieri