Il magnate egiziano Ibrahim al-Organi, vicino all’esercito egiziano e braccio destro del presidente Al-Sisi, per mezzo delle società che a lui fanno capo, gestisce la circolazione di merci e persone attraverso il valico di Rafah imponendo dazi ai camion di aiuti umanitari diretti a Gaza e tariffe proibitive ai palestinesi disperati che cercano di sfuggire allo spettro della morte. Le speculazioni economiche del magnate egiziano Ibrahim al-Organi potrebbero essere in realtà una copertura per le politiche statali miranti a trarre profitto dalla devastazione materiale e morale della guerra.
Il business del magnate egiziano Ibrahim al-Organi, vicino al presidente Abdel Fattah al-Sisi, si aggira intorno ai 2 milioni di dollari al giorno, i palestinesi che disperati tentano di fuggire dall’inferno del genocidio rappresentano una fonte di guadagno per la Hala Consulting and Tourism Services, azienda di proprietà del magnate e leader tribale del Sinai e unica a fornire un servizio di trasferimento dall’enclave di Gaza, attraverso il valico di Rafah, all’Egitto, aggirando così il blocco imposto da Israele. Le “modiche” cifre richieste, 5000 euro per gli adulti e 2500 per i bambini di età inferiore ai 16 anni, hanno permesso alla compagnia egiziana dall’inizio del genocidio fino ad oggi di raddoppiare i profitti.
Da dove proviene il magnate egiziano Ibrahim al-Organi?
Nato nel 1974 a Sheikh Zuweid nel nord del Sinai e appartenente alla tribù Tarabin, il magnate egiziano Ibrahim al-Organi è capo dell’Unione delle tribù del Sinai, gruppo paramilitare di cui fanno parte soprattutto componenti della sua stessa tribù. L’impegno di questa milizia a fianco dell’esercito egiziano nella lotta contro i miliziani locali associati allo Stato islamico ha accresciuto sempre più l’influenza esercitata da Organi nel Sinai e non sorprende quindi il fatto che la penisola venga spesso indicata con l’appellativo di “penisola di Organi”.
Nel 2007, colui che sarebbe diventato uno dei più potenti uomini d’affari egiziani, era ancora un semplice tassista dedito altresì al contrabbando, che guidava le proteste delle tribù del nord del Sinai contro la repressione attuata dai servizi di sicurezza egiziani. Come lo stesso magnate egiziano Ibrahim al-Organi ammise, i movimenti di protesta nel Sinai diedero una spinta significativa alla rivoluzione del 2011 che portò alla deposizione del presidente egiziano Mubarak.
L’avvicinamento all’esercito egiziano e al presidente Al-Sisi
L’avvicinamento al governo egiziano avvenne però nel 2013 quando il generale Abdel Fattah al-Sisi dopo aver cacciato attraverso un colpo di stato il presidente democraticamente eletto Mohamed Morsi, si prefisse di sconfiggere i gruppi di miliziani estremisti, affiliati dapprima ad al-Qaeda e poi allo Stato islamico, che imperversavano nella penisola del Sinai.
Gli accordi di pace di Camp David, stipulati nel 1978 tra Israele ed Egitto, stabilivano dei limiti alla presenza di soldati egiziani nel Sinai, proprio in questo frangente entrò in scena il magnate egiziano Ibrahim al-Organi. La tribù di cui Organi era capo insieme alle altre due tribù, permisero alle truppe egiziane di aggirare la scarsità numerica fornendo un importante contributo militare avvalorato dalla conoscenza dell’area desertica e delle tattiche di combattimento. Nel 2015 nacque così l’Unione delle tribù del Sinai, gruppo paramilitare alleato dell’esercito egiziano, finito al centro di inchieste in quanto accusato di svariate violazioni dei diritti umani nei confronti dei civili.
Il coinvolgimento dell’Egitto nelle speculazioni economiche delle aziende di Organi
Attualmente le società che fanno capo al magnate egiziano Ibrahim al-Organi detengono il monopolio della circolazione di persone, merci e camion attraverso il valico di Rafah, l’unica porta con l’Egitto non controllata direttamente da Israele. La Sons of Sinai si occupa della gestione dei permessi d’uscita dei camion, mentre la Hala for Consulting and Tourism Services esercita il controllo esclusivo sugli ingressi e le uscite dalla Striscia di Gaza. La Sons of Sinai for Construction and Building, fondata nel 2021, ha firmato con lo Stato egiziano un contratto dal valore di 500 milioni di dollari, con cui si impegna nella ricostruzione.
Non ci sono stime precise circa i guadagni delle società di Organi, non esistono infatti in Egitto dei documenti consultabili che attestino redditi e profitti e in sostanza tali attività imprenditoriali poco etiche e trasparenti sfuggono a qualsiasi forma di supervisione da parte del governo egiziano.
Secondo lo scrittore egiziano Mohannad Sabry, l’Egitto starebbe tacendo sulla speculazione economica perpetrata approfittando della disperazione dei palestinesi poiché in realtà il business del magnate egiziano Ibrahim al-Organi altro non sarebbe che un utile copertura per aziende controllate dallo Stato e dall’esercito. Non si tratta solo di teorie ma di evidenze supportate da fatti, infatti nel 2014 il potente uomo d’affari venne nominato presidente del consiglio d’amministrazione della Misr Sinai, società operante nel settore degli investimenti e dello sviluppo industriale e autorità vicina all’esercito egiziano. Nel 2022 Al-Sisi in persona nominò il magnate egiziano Ibrahim al-Organi membro dell’Autorità per lo sviluppo del Sinai, un’agenzia statale fondata per esercitare il controllo esclusivo sulle attività di sviluppo e costruzione nella penisola.
Il magnate egiziano Ibrahim al-Organi una copertura per le politiche statali?
Quindi, in realtà, lo Stato egiziano non starebbe coprendo le aziende di Organi nella gestione della circolazione di persone e merci da e per Gaza, chiudendo un occhio davanti al sistema delle tariffe proibitive imposte ai palestinesi come tangenti da pagare per vedere la luce in fondo al tunnel della devastazione materiale e morale, ma sono le stesse politiche statali a trarre profitto dalla disperazione di chi ha perso tutto e ogni giorno teme lo spettro della morte.
Il magnate egiziano Ibrahim al-Organi sarebbe solo una copertura, rappresenta e serve gli interessi statali, è il tramite attraverso cui lo Stato porta avanti condotte politiche volte a lucrare sul dramma dei palestinesi.
Sebbene il governo egiziano abbia smentito il proprio coinvolgimento nel sistema delle tariffe per l’attraversamento del valico di Rafah in entrata o in uscita, esprimendo l’intenzione di prendere provvedimenti, a distanza di mesi, la Hala e le altre società affiliate continuano indisturbate ad imporre dazi ai camion di aiuti umanitari e tariffe proibitive alle famiglie palestinesi che si aggrappano a questa possibilità come se fosse l’ultima e l’unica per scampare all’inferno.
Sui social network sempre più palestinesi organizzano raccolte fondi sperando nell’empatia degli occidentali, attraverso numerosi post e video denunciano la situazione drammatica a cui da mesi sono sottoposti e invocano aiuto per sfuggire allo spettro di una condanna a morte che ogni giorno sembra materializzarsi.