8 giorni dopo che l’Organizzazione Mondiale della sanità ha annunciato che il coronavirus era una pandemia, in India il Primo Ministro Narendra Modi ha tenuto un discorso a reti unificate. In particolare, ha parlato di distanziamento sociale e di un giorno di coprifuoco, in data 22 marzo. Dal 24 marzo è stato poi imposto il lockdown, prolungato ad ora fino al 3 maggio.
Così, dopo l’ondata di proteste nel Paese a partire da dicembre 2019 a proposito di una modifica alla legge sulla cittadinanza riguardante gli immigrati di origine musulmana, ecco una nuova ondata di instabilità. Questa volta derivante dalla pandemia e dal conseguente lockdown in India.
È intuibile capire le difficoltà di mantenere il cosiddetto “social distancing” e derivanti dal blocco delle attività produttive in un Paese come l’India, dove milioni di persone lavorano come ambulanti. Non solo, ricordiamo che molti abitanti vivono in baraccopoli densamente popolate e in condizioni igienico-sanitarie discutibili.
I licenziamenti – e, in prospettiva, un futuro di povertà o comunque di difficoltà economiche non indifferenti – in molti casi hanno avuto come conseguenza il ritorno o, almeno, il tentativo di ritornare verso i villaggi d’origine per non morire di fame. In seguito a ciò, il Governo indiano ha imposto la chiusura dei confini degli stati, interrompendo così questi viaggi alla ricerca del lavoro.
Narendra Modi ha affermato:
Il lockdown in India per combattere la pandemia di coronavirus può aver colpito l’economia del Paese ma vale la pena pagarne il costo al fine di salvare la vita dei cittadini.
Fino ad ora, i casi registrati sono veramente pochi, tenendo in considerazione la popolazione totale.
Perché i decessi riportati al 30 aprile sono 1.074 e il numero di positivi accertati è di 33.050?
La risposta a questa domanda è da ricercare sia nella limitata quantità di test effettuati sia nella previsione per cui il picco dell’epidemia arriverà a giorni. Inoltre, alcuni ritengono che la predominante popolazione giovane stia aiutando nel tenere basso il numero di vittime.
Ancora, su ammissione dello stesso Governo indiano, solo il 22% dei decessi in India sono certificati dal punto di vista medico. Ciò aggiunge ulteriori interrogativi alla vicenda.
Da considerare anche il fattore relativo alla spesa nel settore sanitario in India. Secondo quanto riporta l’Ambasciatore d’Italia a Nuova Delhi:
La spesa sanitaria pubblica, pari allo 0,9% del PIL, è tra le più basse del mondo (per una comparazione, in Cina è del 2,9%).
È molto probabile che il lockdown sia prolungato oltre il 3 maggio, date le condizioni attuali.
Da sottolineare che il tasso a cui i casi Covid-19 raddoppiano in India è più basso rispetto ad altri Paesi. Parliamo di Stati Uniti, Italia, Spagna e Regno Unito. Nonostante ciò, sembra in ogni caso realistico immaginare che il numero di casi positivi al virus in India aumenterà. Anche se, probabilmente, in maniera più lenta.
Marta Annalisa Savino