Il lavoro è disprezzato, dice il buon Landini. Bravo. Sono d’accordo. E’ disprezzato da decenni, e non solo dall’orrore che passa per destra.
Due ricordi, uno televisivo e un privato. Una telebettola anni 90. Si parla di crisi, tanto per cambiare. Un imprenditore racconta di lavorare 14 ore al giorno. Michele Santoro lo liquida con un sorrisetto dei suoi:
“Guardi che nella vita non c’è solo il lavoro.”
Con la superiorità morale di chi lotta solo con le parole unita alla stupidità di chi non sospetta neppure che il lavoro possa essere vocazione. Dalle mie parti, pochi anni fa. Risalgo verso Como in auto. Con me c’è un giovane intellettuale, brillante e di sinistra. Attraversiamo un paesaggio di fabbriche grandi e piccole. “Ma questi capannoni”, mi chiede il brillante intellettuale, “sono lì per fare qualcosa o solo per succhiare soldi allo stato”. Dopo una vita anche dentro quei capannoni, lo strozzerei. Mi controllo e chiedo serafico: “E lo stato, secondo te, i soldi da chi li prende?”. Lui tace e si gratta la testa. Sempre meglio dei nostri sindacati. Senza dubbio i peggiori d’Europa. Diventati rappresentanza solo di pensionati e pubblici impiegati. Che hanno assistito senza battere ciglio al precipitare delle retribuzioni nel settore privato. Arrivando al ridicolo quando si facevano scappare la lacrimuccia per la “macelleria sociale” in Grecia mentre i salari reali italiani erano i più bassi dell’Occidente.
Un dato che dice tutto. Della miopia di imprenditori, specie del terziario, che hanno dimenticato anche le lezioni di
Henry Ford. Di una società vecchia. Arteriosclerotica. Interessata solo alla conservazione dello status quo. Senza
nessuna visione di un futuro che, in fondo, non interessa. Che è roba da giovani. Da sfruttare. Da spremere. Da disprezzare anche loro. Così ignoranti. Così rozzi. Sempre con il telefono in mano. Condannati a saldare il conto per tutti. A farsi carico dei debiti pregressi e dei diritti acquisiti di un paio di generazioni di sanguisughe. Fatte di stolti capaci, quello sì, di insistere con la retorica di sempre. Di condannare e criticare chi lavora, specie se per produrre qualcosa. Quasi il lavoro fosse una colpa. Davvero, il cattolico castigo d’Adamo. Da esaltare solo quando diventa “posto fisso” nella peggior pubblica amministrazione del mondo sviluppato. Dove gli stipendi, a pari ruolo, sono in media più alti del 30% rispetto a quelli offerti dalle imprese. Perché tanto qualcuno paga, vero Landini. Chissà chi?
Daniel Di Schuler