Già dal titolo Il grande carrello (Laterza, 2019) di Fabio Ciconte e Stefano Liberti è in grado di suggerire un connotato orwelliano. Il supermercato ha l’occhio scrutatore del “grande fratello” che guarda al proprio mondo e ai propri cittadini con consapevolezza. Esso controlla e conosce i desideri dei propri acquirenti. Ma il controllo che si esercita è per lo più assuefazione. Infatti, i cittadini del supermercato amano la propria subordinazione.
Il grande carrello mostra il supermercato e i suoi abitanti come partecipi di un mondo sorretto da raffinate strategie populiste. Il partito del supermercato non è per forza negativo: conosce i suoi clienti e li ama. Permette loro di affezionarsi ai prodotti che gli vengono forniti. Tramite carte fedeltà, buste di plastica, e amorevoli verdure già tagliate, crea il loro orizzonte di desiderio. Il partito populista per eccellenza è in grado di compiere due azioni distinte per perseguire lo stesso obiettivo. Esso insegue i propri cittadini e i loro desideri, li studia e se ne prende cura. Ma allo stesso tempo li obbliga a restare: chi di noi, infatti, potrebbe fare a meno del supermercato?
Ciconte e Liberti compiono un lavoro che parte dalla superficie e scava fino all’antro più profondo. Tutto comincia con una narrazione dalle tinte tra il distopico e il fiabesco. All’inizio ci accompagnano come se fosse la prima volta dentro un mondo che conosciamo perfettamente. Il supermercato, che è la nostra casa, diventa un posto che si può guardare angolo dietro angolo. Poi, però, avviene il necessario distacco da quei rassicuranti scaffali patinati. Le latte colorate, le linee di biscotti verdi e azzurre sono sempre più stranianti. Veniamo catapultati nel magazzino di un discount. E ancora, sempre più in là, con le mani nella terra insieme agli agricoltori. Fino a che ci troviamo sotto al sole della Puglia chini con i braccianti.
Infine, saliamo su un volo intercontinentale e atterriamo nel Centro America e in Cina, dove le tecniche più moderne vedono la lavorazione dei semi, la perdita della biodiversità. In Centro America scopriamo che le decine di verdure diverse che abbiamo davanti quando facciamo la spesa non sono poi così tante. Ci sentiamo traditi.
La danza cieca dell’acquisto
E la scrittura, tutto a un tratto, si fa cruda, snella. La narrazione si fa reportage. Laddove si racconta la realtà non c’è più bisogno di orpelli stilistici.
Scoprirete che nel vostro grande carrello, inconsapevolmente, insieme a una scatola di pelati, state mettendo la vita di altre persone. Povere come, più o meno di voi. Sembra un ricatto morale senza uscita. Ogni volta che compriamo, siamo coautori di una guerra tra noi stessi e un altro uomo. Però, non è colpa nostra. Questo è il governo che abbiamo. Questa è l’unica scelta di partito.
In fondo fare la spesa è come ballare una danza. Per alcuni è in punta di piedi, sospettosa. Per altri è un insieme di giravolte intorno ai prodotti meno costosi. E così:
Una busta di insalata a 99 centesimi, una bottiglia di passata di pomodoro a 39 centesimi, un litro di latte a 59 centesimi, un barattolo di confettura extragusti a 79 centesimi, un pacco di pasta trafilata al bronzo a 49 centesimi.
Ed ecco la spesa di un cittadino “pragmatico” che crede che comprare una busta d’insalata a 99 centesimi lo renda un maestro del risparmio. Lo pensate anche voi? Sarete smentiti.
La nostra danza si trasforma nella scena di un teatro dell’assurdo. Così pensiamo che i 99 centesimi dell’insalata siano un affare e che sia normale comprare una passata di pomodoro a 39 centesimi. Metà di un caffè al bar.
In un giro di valzer ci gloriamo per la ricchezza delle tradizioni italiane, mentre nell’altro pensiamo che il pomodoro sia una merce qualsiasi, priva di valore. Ciconte e Liberti riescono a ricondurci a una maggiore coscienza dei nostri gesti quotidiani. Ci sussurrano di smettere di ballare e aprire gli occhi. Il pomodoro è una ricchezza italiana. L’insalata in busta in realtà costa 10 euro al chilo.
Il potere del grande carrello
Il pregio maggiore de Il grande carrello è, però, a mio parere, quello di non risultare né cospirazionista né parziale.
Il supermercato non viene dipinto come un mostro pronto a ingoiarci. Siamo, invece, di fronte a una visione più scientifica: compiamo un’indagine dettagliata sulle azioni di chi si muove tra le fila della macchina del cibo. Inoltre, nessun lavoratore della filiera di produzione viene immolato a colpevole universale. Non si guarda solo al fenomeno bracciantile, ma anche alle immense difficoltà degli agricoltori e dei contadini.
Di conseguenza, l’unico colpevole è chi abusa del proprio potere. Ciconte e Liberti ci ricordano, però, con molta lucidità, che solo chi ha un reale potere può abusarne.
E, alla fine, non potrete fare a meno di chiedervi: quale potere ho io?
Antonia Ferri