L’assenza del vocabolo “sport”, nella nostra Costituzione, è uno dei pochi difetti di un documento sublime, realizzato dai padri della democrazia italiana. Peccato, perché la suddetta lacuna lo priva di una adeguata protezione, e lo espone a pericolosi equivoci e malintesi.
Da noi, la gestione sportiva spetta al Coni, Ente fondato addirittura prima della Grande Guerra, e cioè nel 1914. Esso risponde al Cio, Comitato Olimpico Internazionale, del quale fanno parte 205 paesi, più di quelli, che compongono l’Onu.
Il governo (forse sarebbe opportuno scrivere ex?), composto da Lega e Movimento Cinque Stelle, in obbedienza al motto “prima gli italiani”, che ha già minato talvolta le basi della solidarietà, a proposito di immigrazione, ha lanciato un progetto, tale da negare al Coni l’autonomia.
Se fossero azzerati i suoi statuti, il Coni non potrebbe più rispettare la Carta Olimpica, documento di adesione, e condivisione universale con tutti gli altri paesi membri del Cio. Si tornerebbe ad una situazione simile a quella fascista, in cui la politica assoggettava lo sport, per finalità di propaganda patriottica.
Scatterebbe una immediata sanzione del Cio, rappresentata dall’impossibilità di partecipare alle prossime Olimpiadi 2020, a Tokyo, con bandiera tricolore e inno nazionale. L’Italia confluirebbe nello Ioa (indipendent olympic athlets), al pari di India e Kuwait.
Ancora una volta, come successo spesso, è dunque il mondo dello sport ad impartire una salutare lezione a chi pretende di isolarsi, in modo autarchico, dal resto del pianeta. La politica italiana non ha il diritto di dividerlo dagli orizzonti globali e multirazziali, non a caso, definiti “olimpici”.
Speriamo si cambi idea su testa questa ingerenza, in formato “golpe”. L’autonomia dello sport è stabilita da una Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, adottata a New York nel 2014. Deve essere un mezzo, autonomo dai governi, per promuovere l’educazione, lo sviluppo e la pace.