Il ghiaccio marino artico si assottiglia e la biodiversità soffre un ecosistema che cambia troppo velocemente

Foto di Valeria Castiello

Da tre decenni il ghiaccio marino artico mostra trend negativi in estate e in inverno, con conseguenze importanti non solo per la flora e la fauna locale.

Tra il 2005 e il 2007 sono stati osservati i cambiamenti strutturali più importanti, che hanno portato la frazione di ghiaccio marino artico spesso e non regolare a ridursi di circa la metà. Dunque, se nel 1985 l’esploratore Fridjtof Nansen parlava di “un vero caos di blocchi di ghiaccio” per raggiungere il Polo Nord, oggi i ricercatori affermano che un Oceano Artico così “è un bel ricordo del passato”.

Ghiaccio marino artico
Barentsburg_Spitsbergen. Foto di Valeria Castiello.

Lo studio

Pubblicato su Nature, ha visto la collaborazione di un team ampio, guidato da Hiroshi Sumata del Norwegian Polar Institute. Secondo quanto osservato nello stretto di Fram, il ghiaccio marino artico ha subito un cambio di regime soprattutto relativamente allo spessore. Nello specifico, i risultati mostrano una riduzione della coltre spessa (>4m) di oltre il 50%, sostituita da un ghiaccio sottile e uniforme.




Le conseguenze

Questa nuova conformazione del ghiaccio marino artico comporta una sua maggiore vulnerabilità agli scontri e, difatti, il minor spessore facilita la frantumazione a discapito della formazione di creste, che sono indispensabili per conferire robustezza alla struttura. A sua volta il ghiaccio sottile, muovendosi più velocemente sull’acqua, ha meno tempo a disposizione per accrescersi. Purtroppo entrambi i fenomeni mettono in difficoltà la biodiversità locale, che vede scomparire il proprio habitat ideale.

A settembre la concentrazione media del ghiaccio marino è ormai calata dal 46% al 26% nell’area dell’Alaska e dal 57% al 26% nella zona siberiana, senza dare mai segni di ripresa; di contro, salgono sopra lo  0,6°C le temperature medie della superficie marina durante il periodo estivo. Una situazione simile determina sia una minore permanenza del ghiaccio nelle aree di formazione sia una sempre maggiore loro difficoltà a sopravvivere durante l’estate, nonché a raggiungere le dimensioni ottimali.

La formazione delle creste

Come anticipato, lo scontro tra banchi genera una pressione tale da deformare le strutture, addensando il ghiaccio in creste robuste. Tuttavia, il ghiaccio sottile non ha la stessa capacità e, infatti, durante gli scontri si assiste a una sostanziale frantumazione di tutta la struttura.

Quanto osserviamo in superficie di un lastrone di ghiaccio è soltanto il 10%, poiché la porzione maggiore, il 90%, si trova sott’acqua ed è caratterizzata da un bordo molto frastagliato, che funge da chiglia di ancoraggio. Infatti se da un lato la potente corrente artica scoperta da Nansen, nota con il nome di Transpolar Drift Stream (TDS), spinge i ghiacciai a muoversi, dal’altro le creste agiscono da contrasto, proprio per consentire ai banchi di accrescersi.

Più sottile, più piatto, più veloce

Invece i ghiacci sottili, non avendo questa conformazione frastagliata, svolgono il loro compito in modo non sufficientemente adeguato. Complice poi un incremento della potenza di TDS, le conseguenze sono disastrose per l’ecosistema, che vede il ghiaccio correre attraverso l’Artico e avere una vita media ridotta di oltre 1,5 anni.

Purtroppo, a confermare i risultati del team di ricerca ci sono le osservazioni satellitari fatte da Julienne Stroeve, esperta di telerilevamento del ghiaccio marino presso il National Snow and Ice Data Center degli Stati Uniti.




Un ecosistema a rischio

Edredone comune (Somateria mollissima) sull’isola di Spitsbergen . Foto di Valeria Castiello

Quanto descritto non ha effetti solo sul paesaggio, ma anche sulla biodiversità locale, che incontra sempre più difficoltà a sopravvivere in questi ambienti. Ad esempio, la nuova conformazione del ghiaccio sta alterando i cicli biogeochimici e gli scambi di calore nell’acqua con effetti a catena sui diversi livelli trofici.

Inoltre, il ghiaccio marino artico spesso sostiene una biomassa diversa da quello liscio, dunque questo forte sbilanciamento cui stiamo assistendo potrebbe avere degli effetti importanti sulle comunità simpagiche, ovvero sulle popolazioni di organismi che vivono in stretta associazione con il ghiaccio.

Una corsa sul “tapis roulant di ghiaccio” per l’orso polare

La maggiore velocità di movimento dei ghiacciai, nonché il loro scioglimento, costringe gli orsi polari (Ursus maritimus) a spostarsi più rapidamente. Dunque, poiché la sua sopravvivenza è legata alla criosfera che, almeno dalle recenti osservazioni, verte in condizioni irreversibilmente critiche, il re dell’Artico vede ormai da tempo il suo habitat minacciato. 

Per il 2050 il ghiaccio marino artico estivo sarà scomparso e gli orsi o si adatteranno alla nuova situazione, ma non sappiamo ancora come potranno farlo, o spariranno.

Purtroppo i dati non sono confortanti e sostengono l’ipotesi secondo la quale entro il 2050 il ghiaccio marino estivo sarà scomparso e dunque l’orso polare non avrà più dove vivere. Tuttavia, una recente scoperta fatta da alcuni esperti durante un viaggio in Groenlandia, nel sud della regione, ci fa ben sperare, in quanto è stata trovata una piccola popolazione di plantigradi già abituata a cacciare sul ghiaccio della terraferma. Questa forma di adattamento potrebbe scongiurare l’estinzione della specie, ma non la drastica riduzione del numero di individui, poiché lo spazio non sarebbe comunque sufficiente.

I cetacei nel ghiaccio marino artico

Nelle zone artiche si trovano diverse specie, ciascuna con il suo habitat. Ad esempio, i beluga (Delphinapterus beluga), le cosiddette balene bianche, occupano gli estuari, la piattaforma continentale e i bacini oceanici profondi. Invece i narvali (Monodon monoceros) si concentrano in estate nelle zone dei fiordi dell’Alto Artico, mentre in inverno si spostano al largo, lungo il pendio continentale. In ultimo, si ricorda la balena della Groenlandia (Balaena mysticetus), una specie endemica, che vive il periodo estivo nelle acque artiche, ma sverna poi nei mari subartici. Quest’ultima è il predatore più grande, nonché l’unico ad avere una dipendenza estremamente stretta dallo zooplancton dell’artico.

Una migrazione continua verso Nord

Diversi studi, avvalorati anche dai ritrovamenti fossili, dimostrano un tendenziale spostamento verso le regioni settentrionali dei cetacei. Ad esempio, le balene della Groenlandia un tempo nuotavano nello stretto di Belle Isle, una regione corrispondente all’estremo sud dell’attuale areale di distribuzione; invece, ci sono prove della presenza in passato dei narvali vicino alle coste sud dell’Inghilterra.

I pinnipedi

Sotto il ghiaccio marino artico è possibile trovare la foca dagli anelli (Pusa hispida,) la foca barbuta (Erignathus barbatus)e il tricheco (Odobenus rosmarus), di cui si riconoscono tre sottospecie: il tricheco atlantico (Odobenus rosmarus rosmarus ), il tricheco di Laptev (Odobenus rosmarus laptevi ) e il tricheco del Pacifico (Odobenus rosmarus divergens ).

Foca barbuta (Erignathus barbatus), immortalata durante una crociera alle Svalbard. Foto di Valeria Castiello

Tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso, condizioni severe dei ghiacci nelle zone artiche avevano determinato un fallimento riproduttivo importante delle foche dagli anelli, che cominciarono così a migrare verso zone con temperature meno rigide. Oggi, invece, si verifica una situazione contraria, in quanto la vulnerabilità dei cuccioli al clima caldo e alle piogge primaverili sta causando problemi alle dimensioni delle popolazioni. Infatti, la drastica riduzione delle spessore delle nevi nella parte occidentale della Baia di Hudson ha portato a una riduzione della riproduzione e della sopravvivenza dei piccoli.

Tricheco sulle coste di Spitsbergen. Foto di Valeria Castiello

La vita nascosta sotto il ghiaccio marino artico

Nelle acque fredde delle regioni artiche vive anche una grande quantità di anfipodi, crostacei di piccole dimensioni, che sono alla base della rete alimentare oceanica. Infatti, sono la principale fonte di nutrimento delle balene, le quali, se non hanno a disposizione un sufficiente quantitativo di tale cibo, possono morire letteralmente di fame. Poiché l’habitat ideale di questo zooplancton sono le creste sommerse del ghiaccio, la loro scomparsa è un fattore di rischio per la sopravvivenza delle popolazioni nell’areale artico. Purtroppo i banchi lisci e sottili non offrono lo stesso habitat e, inoltre, rompendosi facilmente, favoriscono l’accesso alle specie invasive.

Spedizione a Spitsbergen. Foto di Valeria Castiello

 

Il ghiacciaio è un testo sacro che ha assorbito tutta la luce dei secoli. Chi lo legge sa che si trova davanti a uno dei libri più antichi del mondo. Lì dentro ci sono segni di migliaia e migliaia di anni fa. Sono conservati persino il primo vento e la prima goccia d’acqua.

Il ghiaccio ci racconta la storia di un passato troppo remoto per avere testimoni. Un’opera d’arte tanto imponente all’apparenza, quanto ormai fragile nella sostanza per resistere al risveglio della natura.

E dunque lentamente si sgretola come un’orma nella risacca del mare, mentre le creste lasciano spazio a banchi poco uniformi, che aprono i confini di terre un tempo impenetrabili. Cambia il paesaggio, si plasma in forme diverse, e la biodiversità si adatta, ci prova, per sopravvivere a un cambiamento che non ha innescato, ma inevitabilmente subisce.

Carolina Salomoni

 

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