Qualche giorno fa, il presidente del Ghana Nana Akufo-Addo ha potuto ritenersi soddisfatto per il raggiungimento di uno dei suoi obbiettivi: il Ghana non dipenderà più da aiuti economici esterni.
L’accordo stipulato con il Fondo monetario internazionale (Fmi) prevedeva in termini di aiuti 925,9 milioni di dollari. Il patto inizialmente triennale è stato esteso di un anno nell’agosto del 2017 e si è concluso il 2 aprile 2019.
“Non possiamo più continuare a fare politiche sulla base del sostegno che il mondo occidentale, la Francia o l’Unione Europea vorranno darci” queste erano state le parole del presidente Nana Akufo-Addo davanti al neoeletto Emmanuel Macron in visita istituzionale. E per lungo tempo il discorso del presidente, diventato un video virale sui social, aveva esaltato gli animi dei giovani ghanesi e africani in generale.
Ora il Ghana è in crescita, l’asticella del Pil nazionale segna 7,6% (superando la Cina che si attesta al 6,2%), ma il risultato è dovuto a un lavoro continuo lungo quattro anni, durante i quali si è verificato anche un cambio al vertice di governo.
In realtà il punto d’arrivo del 2 aprile 2019 ha radici in quel movimento di indipendenza e rivalsa sociale che ha scosso il continente africano durante gli anni 50’ e 60’. Nel 1957 il Ghana è stato il secondo Paese africano a ottenere l’indipendenza, liberandosi del giogo colonialista inglese. Precedentemente, fin dal XV secolo, quando gli europei cominciarono a prendere possesso dell’Africa, il Ghana fu destinazione e mira di portoghesi, olandesi, danesi, svedesi e divenne protettorato inglese sul finire del XIX secolo.
Dalle coste del Ghana, partirono per generazioni uomini e donne in catene. Fu uno dei punti di partenza della tratta degli schiavi. Dal 1992, anno in cui è stata votata la nuova costituzione, il NPP e l’NDC costituiscono i due partiti principali ed è garantita l’alternanza democratica. Nell’immediato futuro le sfide per il Ghana riguardano l’accesso gratuito alla scuola secondaria, appoggiato dalla Free High School Education policy prevista dal presidente, e il ripristino della rete ferroviaria costruita dagli inglesi e ora in forte stato di disuso.
Sembra che non tutti vogliano fuggire dall’Africa, anzi, c’è anche chi esplicitamente richiama a casa i suoi compatrioti e, perché no, i loro figli nati all’estero. La campagna per invertire il senso della diaspora sta dando i suoi primi frutti in Ghana. Le competenze e le specializzazioni dei giovani di ritorno in patria saranno fondamentali per la diversificazione economica, necessaria al mantenimento della crescita del Paese.
Possiamo dunque dire che in Ghana si ‘aiutano a casa loro’?
Paolo Onnis