Di Carlo Nesti
Questo è il folle calvario di Alex Schwazer, marciatore italiano, campione olimpico della 50 km a Pechino 2008.
Dopo essere risultato positivo ad un controllo antidoping, alla vigilia di Londra 2012, viene squalificato fino al 29 aprile 2016. Rientrato in occasione dei Mondiali a squadre 2016, vince la 50 km, ottenendo l’ammissione a Rio de Janeiro dello stesso anno.
Il 22 giugno 2016, viene comunicato alla FIDAL che Alex Schwazer è nuovamente positivo. Il 10 agosto, il TAS (Tribunale arbitrale dello sport), considerata la seconda violazione delle norme antidoping, squalifica l’atleta per 8 anni.
Emergono, tuttavia, sospetti di un complotto ai suoi danni. Morale della favola (altro che favola!), dopo interminabili depistaggi, nel febbraio 2021, viene disposta l’archiviazione del procedimento penale, per “non aver commesso il fatto”. In sostanza: il lieto fine dopo 9 anni di fango.
Oggi, infatti, un giudice penale scrive che «ritiene accertato, con alto grado di credibilità razionale, che i campioni d’urina, prelevati a Alex Schwazer l’1-1-2016, siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi, e dunque di ottenere la squalifica, e il discredito dell’ atleta».
Vengono poi giudicati Wada e Iaaf, i “controllori del sistema”, colpevoli di «falso ideologico, frode processuale e diffamazione».
“Famiglia Cristiana” commenta:
Per lo sport, per l’ antidoping, è una notizia pessima: ci dice non solo che il sistema è molto più marcio di come sembrava, ma che per salvare la sua facciata di sepolcro imbiancato è disposto a tutto. Un danno per chi ci finisce dentro, e per chi vorrebbe ancora credere nello sport.
Non è finita:
Di qui in poi, quando vedremo qualsiasi gara, saremo autorizzati a metterla in dubbio. La conclusione logica è che viene la tentazione di dirsi che il talento per lo sport non è qualcosa da augurare a un figlio.
Davvero: voler bene allo sport è un altro sentimento, quando si scopre che a governarlo è la mafia dell’imbroglio.