Il filo ingarbugliato che tormentò la memoria di Montale

filo ingarbugliato

11/12/1960 Eugenio MONTALE nel salotto di casa sua (1896 Genova - 1981 Milano) Poeta italiano FARABOLAFOTO 391103

In una lettera del 1971 ad Alfonso Leone, Montale scrive: ”La casa dei doganieri fu distrutta quando avevo sei anni. La fanciulla in questione non poté mai vederla; andò verso la morte, ma io lo seppi molti anni dopo. Io restai e resto ancora. Non si sa chi abbia fatto la scelta migliore. Ma verosimilmente non vi fu scelta.” E così il filo ingarbugliato faceva la memoria di Montale.

È il tema anti-proustiano del ricordo imperfetto, del poeta che tenta invano di rievocare un’immagine passata e darle nuova consistenza. Ma senza la persona dall’altra parte diventa impossibile: un ricordo intimo, che si è condiviso in due soli, se anche uno fra i due non lo ricorda più è come fosse già una piccola morte. Tutto quello che rimane è ancora un capo del filo ingarbugliato del ricordo, ma non c’è più nessuno a tenerne l’altra estremità.

La casa dei doganieri

Di quel filo ingarbugliato Montale parla nella poesia La casa dei doganieri. Ciò che lo tormenta è un tempo che va avanti ma senza cambiare nulla, perché la memoria non funziona. Crediamo che il ricordo ci permetta di trattenere le cose, ma la verità è che le nullifica. A volte le modifica, a volte le perde. In ogni caso andare avanti qui sembra sempre una perdita.

La poesia su quel filo ingarbugliato che è la memoria di Montale si riferisce, naturalmente, a una donna. Lui la ricorda, ma lei non più. E questo è il suo più grande tormento. È passato tanto tempo e la memoria di quel ricordo condiviso col poeta è stata sovrastata da mille altri avvenimenti.

L’impossibilità che il ricordo torni nitido si fa sempre più sofferta man mano che i versi procedono. Il famoso filo ingarbugliato. ‘’Il suono del tuo riso non è più lieto‘’, come scrive Montale, ha senso per la lontananza della donna, ma soprattutto per il fatto che non riesce più a comunicargli la gioia e la letizia di un tempo. Un tempo che è destinato a cancellare la memoria: perché la memoria non è vita, se l’altro non è più con noi a ricordare, ma piuttosto destino di morte.

Memoria e il suo filo ingarbugliato

La solitudine dell’essere solo a ricordare qualcosa, senza che la controparte possa fare altrettanto, è causa del tormento montaliano. ‘’Un filo s’addipana’’, scrive finalmente Montale: ecco il filo ingarbugliato, che rende impossibile un ricordo nitido. Quello che fa impazzire Montale è l’idea che la persona, dall’altra parte, non sappia più ricordare. Mentre da questa il poeta soffre la solitudine del ricordo.

Nonostante tutto il poeta continua a ricordare, ma anche il suo ricordo si fa sempre più vago per il trascorrere del tempo. Ne è simbolo la banderuola di latta ormai affumicata: è ancor più difficile, oltre che doloroso, ricordare senza la persona con cui si è creato un certo ricordo. Il filo ingarbugliato della memoria d’altronde si può dipanare solo se si è in due.

‘’Ed io non so chi va e chi resta’’. La perdita dell’altra persona, lo sminuirsi del valore di un ricordo, significano smarrimento per il poeta. Montale si ritrova allora incapace di scegliere se dipanare la matassa, pur trovandosi in mano un filo ingarbugliato che non lo collega più a nessuno.

Il valore dei ricordi

Ma ha senso voler rimuovere i ricordi per via del dolore? E cosa si perde in un ricordo quando l’altra persona, con cui l’abbiamo condiviso, non gli dà più lo stesso valore che diamo noi? Nella Genealogia della morale Nietzsche sosteneva che la memoria intesa si formasse proprio attraverso il dolore. Per cui rimuoverlo, più di ogni altro cosa, sarebbe impensabile oltre che impossibile.

Il senso della nostalgia d’altronde sta nell’etimologia della parola stessa: dal greco nòstos, il ritorno, che ha alla radice nas-, e cioè l’andare a casa e l’abitare, insieme al sostantivo algos, il dolore. Il dolore del ritorno. Il dolore di un filo ingarbugliato che si vuole – si deve – dipanare.

Significa tornare su se stessi, sui propri ricordi, ma ancor più difficile deve essere tornarci da soli, su queste memorie. Ciò non significa che perdano di valore o che sia meglio lasciar perdere: era il dilemma montaliano del dipanare o meno il filo ingarbugliato. Del mettere a fuoco il più possibile i ricordi, pur nella nòstos-àlgos.

Che l’altra persona renda giustizia o meno alle memorie che insieme a noi aveva creato, non significa che sia bene provare a dimenticare. Non tanto per l’altro, che nel non ricordarci come noi lo ricordiamo può anche farci arrabbiare: ma piuttosto per noi stessi, e per il valore che diamo a tutto ciò che ci a reso ciò che siamo. E cioè, prima di tutto, consapevoli.

Noemi Eva Maria Filoni

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