Avete presente quella pubblicità di una nota marca di intimo che è andata in onda spesso questo Natale? Quella in cui un giovanotto di bella presenza, si trova in un camerino a provare dell’intimo e si ritrova davanti la bella Diletta Leotta, modella, che per un po’ si improvvisa “personal shopper” e da consigli al ragazzo su cosa indossare? Ecco. Vi ricordate cosa accade al termine dello spot? No? Beh ve lo racconto io: in poche parole, sotto le note di un motivetto molto orecchiabile, che risuona “ma apro gli occhi e tu non ci sei più ” , il ragazzo in questione esce per l’ultima volta dal camerino per mostrare un altro capo alla bella Diletta che, però, è sparita, lasciando il bel ragazzo incredulo a chiedersi dove sia finita.
Perché vi ho ricordato questo spot?
Perché guardandolo e riguardandolo, durante queste feste natalizie, mi sono ritrovata a pensare ai rapporti umani di questi tempi e mi sono chiesta: ma siamo ancora capaci di congedarci da qualcuno che decidiamo di lasciare? Siamo coscienti del fatto che entrare nella vita di qualcuno sia una responsabilità, così come uscirne? Siamo ancora capaci di costruire rapporti che durano nel tempo oppure cambiamo le persone così come cambiamo cellulare ogni due anni, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo? Di qualcosa di meglio?
Cosa sono il “ghosting”, il “no contact” e cosa si intende per “trattamento del silenzio”?
Avete mai sentito parlare di ghosting, oppure di no contact o di trattamento del silenzio? Forse sì, ma nel caso in cui la risposta fosse “no” ve lo spiego brevemente e da un punto di vista, diciamo, clinico.
Con il termine no contact si intende l’azzerare ogni forma di contatto con una persona che effettua su di noi un controllo emotivo eccessivo, una persona che dice di amarci, ma in realtà ci manipola, ci controlla. Si tratta di casi in cui un ex, un amico o chiunque altro, mette in atto un abuso emotivo, invadendo i nostri spazi.
In questi casi, la tecnica del no contact serve a difenderci, a limitare le interazioni su email, sms o social network, a quelle strettamente necessarie. L’aspetto che ci tengo a sottolineare è che il no contact non nasce per punire l’altro, ma come forma di autotutela e di salvaguardia personale.
Altra cosa sono il trattamento del silenzio e il ghosting che rappresentano in piena regola tattiche di abuso psicologico, messe in atto consapevolmente da individui con tratti di personalità antisociale e/o narcisistica.
Il trattamento del silenzio funziona come il no contact , cioè una delle due parti in causa decide di interrompere ogni comunicazione, ma ma questa volta lo scopo non è difendersi da un abuso, bensì quello di punire l’altro e non dargli modo di chiarire un eventuale conflitto. In caso di litigio, confronto o qualsivoglia divergenza, il narcisista si sente “rifiutato” e mette in atto questo trattamento per negare all’altro di esporre le sue ragioni o difendersi.
Il ghosting , invece, viene spesso utilizzato come termine per identificare un partner che scompare da una relazione senza dare spiegazioni. All’improvviso non risponde più al telefono, non legge i messaggi, cestina le email e rifiuta ogni contatto. Non da spiegazioni del suo definitivo distacco. L’unica cosa che resta al partner abbandonato è il silenzio. Stando a diversi autori, chi scompare lasciando il partner senza spiegazioni, lo fa perché non è in grado di gestire un’eventuale reazione dell’altro e gli effetti negativi della decisione che ha preso, cioè lasciare il compagno o la compagna. Gli effetti del ghosting sul partner abbandonato possono essere devastanti. Soprattutto se fino al giorno prima il partner non ha dato alcun segno di “crisi di coppia” e fino all’ultimo è apparso “normale”.
Il ghosting: disturbo psicologico o specchio dei nostri tempi?
Il ghosting è solo un disturbo psicologico oppure è diventato lo specchio dei nostri tempi?
Siamo ancora capaci di costruire relazioni durature? Siamo ancora capaci di congedarci?
A tal proposito mi viene in mente il pensiero di Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo accademico, che nel suo saggio “Amore liquido” descrive l’uomo di oggi come “abbandonato a sé stesso, ma bisognoso di aggregazione e di una mano su cui poter contare nel momento del bisogno”. Bauman afferma che “uomini e donne di oggi sono ansiosi di instaurare relazioni, ma sono al contempo timorosi di restare impigliati in relazioni stabili, per non dire definitive, poiché paventano che tali relazioni possano comportare oneri e tensioni che non vogliono sopportare e che possono limitare la loro tanto agognata libertà”.
Inoltre, il consumismo sfrenato ci ha abituati a sostituire quello che già possediamo, con qualcosa di migliore, di più bello. Anche quando abbiamo un oggetto che ancora funziona, che non andrebbe sostituito, lo cambiamo lo stesso, perché la pubblicità e il mercato ci dicono che è “ora di cambiare”, che con un oggetto nuovo saremo più alla moda, più accettati dagli altri e quindi anche più felici.
L’illusione di “poter trovare sempre qualcosa di meglio” o ancora la sensazione che “ci stiamo perdendo qualcosa di meglio”, perché siamo legati a qualcosa che è già nostra, ci allontana da quello che è nostro e che dovremmo curare e conservare.
Questo meccanismo consumistico, come afferma Bauman, si è spostato anche in ambito sentimentale: “Tendiamo a non tollerare la routine, perché fin dall’infanzia siamo stati abituati a rincorrere oggetti “usa e getta”, da rimpiazzare velocemente. Non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto dello sforzo e di un lavoro scrupoloso . Il mercato ci alletta con la promessa di avere tutto senza farica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza apprendimento”.
I legami umani, in un modo consumistico, sono stati sostituiti dalle “connessioni”. Oggi è possibile farsi nuovi amici e instaurare nuove relazioni cliccando un solo tasto sul proprio computer, ma queste vengono infrante con la stessa rapidità con cui si sono instaurate.
Basta un click per avere un amico, un altro click per eliminarlo.
Farsi degli amici offline è molto più complicato, richiede impegno e fatica, attenzione e responsabilità, anche quando si decide di abbandonare una relazione, qualsiasi essa sia.
Felicità ad ogni costo.
Oltre l’aspetto consumistico, c’è un altro elemento da tenere presente ed è quello che potremmo definire “felicità ad ogni costo”.
La società ci vuole sempre felici, vincenti, realizzati. Non abbiamo più la libertà di mostrare le nostre debolezze.
La debolezza è sinonimo di fallimento, di incapacità e di insuccesso. Quindi reprimiamo il più possibile, nascondiamo le nostre fragilità per offrire al mondo che ci circonda sempre la parte forte, vincente e migliore di noi. Ma questo mi porta a chiedere: di fronte alle debolezze dell’altro, come ci comportiamo? Fuggiamo? Siamo ancora capaci di comprenderle? Siamo in grado di accettarle, visto che non riusciamo più a mostrare le nostre?
Anche in questo caso mi viene in aiuto Bauman, che afferma: “L’amore richiede energia. Dedicare il nostro tempo ad aiutare l’altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia o attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l’amore”.
Milena Capriuolo