In un paese come il Sud Corea in cui il ruolo femminile è rilegato a quello di madre e donna di casa, in cui la discriminazione di genere è intrinseca alle dinamiche sociali, movimenti di femminismo radicale trovano terreno fertile per opporsi alla misoginia e al sessismo.
Ha sollevato scalpore il cosidetto movimento dei “Quattro NO”: no al matrimonio, no agli appuntamenti con uomini, no a sesso e riproduzione (bihon, bichulsan, biyeonae, bisekseu). Il gruppo di femminismo radicale si oppone con forti critiche e proteste alla svolta pro-natalista della politica statale, e propone varie forme di discussione e pratiche di self-help esplicitamente orientate verso il futuro individuale delle donne.
Il femminismo radicale come arma per scuotere la Corea contemporanea
Con queste drastiche negazioni dal 2019 circa 4000 giovani sollecitano il governo di Yoon Suk-yeol ad adottare misure di contrasto all’ineguaglianza di genere. Questo movimento è potenzialmente rischioso per una nazione in cui nel 2020 le morti hanno superato le nascite, una minaccia che non può lasciare indifferente chi è al potere.
Il nuovo femminismo radicale sudcoreano descrive il matrimonio eterosessuale come “causa principale del patriarcato in Sud Corea”.
È un movimento che ha origine dalla rabbia, dall’esigenza di riscatto. Un riscatto di decenni e secoli di oppressione, ma in particolare un evento concreto ha acceso la miccia: nel 2018 l’epidemia di pornografia SpyCam della Corea del Sud, le cui vittime sono per lo più donne, e casi di violenza sessuale scoperti nel movimento globale #MeToo.
Le donne sudcoreane già anni prima, hanno fatto sentire la loro voce con il motto “Escape the corset”, il cui obiettivo era contrastare i canoni estetici tradizionali, spersonalizzanti e conformi a gusti prettamente maschili.
La disuguaglianza di genere in Sud Corea
Fin dalle sue origini, la Corea del Sud ha visto un notevole sviluppo in campo educativo, economico e culturale. A partire dagli anni 1960 il Paese si è trasformato da una delle più povere nazioni dell’Asia in una delle più ricche del mondo, ma sussiste ancora un grande limite: la consistente disuguaglianza di genere derivata da un radicato sistema patriarcale; i dati del Global Gender gap report di World Economic forum risalente al 2017 mostrano il grande divario sociale ed economico tra uomini e donne come uno dei più elevati al mondo, classificandosi al 118º posto su 144.
La disuguaglianza di genere è presente in tutti gli aspetti della vita delle donne sudcoreane; in ambito professionale, per esempio, vi è una paurosa differenza salariale, che è stata definita “La peggiore…tra tutte le nazioni industrializzate”.
Nel 2017, l’OECD ha classificato la Corea in ultima posizione tra tutte le società OECD per il divario retributivo di genere, posizione rimasta invariata dal 2000. Il divario retributivo di genere in Corea è del 34.6%, mentre la media dell’OECD è del 13.1%.
Nonostante le opportunità di occupazione per le donne in Corea del Sud sono aumentate costantemente degli ultimi decenni, queste tendono a lavorare sottopagate, non in regola e ad avere meno probabilità di essere promosse a livelli manageriali più elevati nel luogo di lavoro; inoltre, le donne sono spesso sfruttate gratuitamente per il lavoro domestico in famiglia.
Non solo disparità salariale
Tra le altre discriminazioni subite, c’è anche quella di vedersi negato l’aborto qualora richiesto da donne non accompagnate dai partner, depenalizzato solo nel 2021, ma le donne non si accontentano.
Sebbene negli ultimi anni il movimento femminista ha compiuto notevoli progressi, ancora molto c’è da fare: i dati parlano chiaro e le donne sudcoreane si stanno ribellando lentamente, ma con astuzia, combattendo un sistema rimasto immutato per decenni.
Giovanna Indraccolo