La perdita di una cara persona è un dramma. E dinanzi ad un dramma si appallottolano tesi filosofiche e dimostrazioni scientifiche.
Non esistono parole che possano distrarre né leggi che possano spiegare: è dolore, vuoto, assenza e mancanza.
E il peggio, il punto più devastante è che l’unica cosa che si può (che si deve) fare è continuare a vivere “senza”. Elaborazione del lutto, la chiamano: e ciascuno, ciascuna trova la sua modalità di metabolizzare il silenzio, il buio ed il dolore.
Come dimostra l’invenzione di Eugenia Kuyda, una giovane informatica russa la quale, a seguito della morte di un caro amico, ha utilizzato le sue conoscenze riguardanti le macchine pensanti creando un’App che permette di comunicare con la persona defunta. Cercherò di essere chiara: tantissimi messaggi ricevuti dal suo amico sono stati ripristinati e con l’utilizzo della sua startup, Eugenia ha creato una versione virtuale dell’amico scomparso; i messaggi le giungono come risposte a sue domande, e sono quelli che sarebbero stati se fosse stato lui ad inviarli.
Mentre leggevo questa notizia, inevitabilmente, ho pensato al film (di Tornatore) La corrispondenza in cui uno dei protagonisti pianifica ed organizza nei minimi particolari numerose corrispondenze con la sua compagna, in vista della propria morte: affinché la donna non ne sentisse la mancanza ed apprendesse che lui era morto il più tardi possibile. Anche nel film questo avviene grazie ad una geniale invenzione informatica ed anche nel film questo avviene perché la morte fa paura: per chi ne è il diretto interessato o la diretta interessata e per coloro che la vivono come strappo, come ferita.
Sarebbe bello e sarebbe più semplice se la tecnologia superasse anche la morte e se questa non fosse così spietata da interrompere relazioni, discorsi e progetti. Sarebbe bello e sarebbe più semplice se bastasse un’App per continuare a vivere “con”, nonostante tutto.
In quanto umani ed umane, disponiamo però della Memoria, che a volte lacera e taglia e colpisce… ma che, ad ogni modo, permette di rincontrare chi si è amato. Personalmente non lo so, ma non credo che un’applicazione del cellulare possa riprodurre fedelmente la risata, che possa pronunciare le stesse parole e che possa consigliare, rassicurare, arrabbiarsi e commuoversi come farebbe, come faceva, chi si è perso.
E che continua a vivere nella voglia di continuare di chi resta.
Deborah Biasco