Il divieto di essere donna in Afghanistan: i talebani vietano andare al ristorante e lavorare per l’ONU

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I talebani hanno imposto alle donne afghane il divieto di frequentare i ristoranti all’aperto e di lavorare per l’Onu. Queste sono solo le ultime delle innumerevoli restrizioni che porteranno il regime a imporre l’assurdo divieto di essere donna.

Vietato andare la ristorante

In Afghanistan, nella provincia nord occidentale di Herat nessuna donna potrà frequentare i ristoranti all’aperto. I ristoranti della città ovviamente rimarranno attivi, ma solo per gli uomini. La decisione è stata persa a seguito delle lamentele dei religiosi che ritengono questi luoghi eccessivamente promiscui.

I ristoranti con spazi aperti sono come parchi e uomini e donne erano tutti insieme. Grazie a Dio ora è stato corretto. Inoltre, i nostri revisori stanno controllando tutti i parchi frequentati da uomini e donne.

Azizurrahman Al Muhajir, capo della direzione del min. del Vizio e della Virtù a Herat

Questa è solo l’ultima delle innumerevoli restrizioni imposte alle donne da quando i talebani hanno preso il potere nell’agosto del 2021. Innumerevoli restrizioni che riguardano ogni aspetto della loro vita, dal privato al pubblico, dal lavoro allo svago, dall’abbigliamento all’alimentazione. Sembra esserci un chiaro e limpido divieto di essere donna.

L’Afghanistan è il posto più repressivo al mondo per i diritti delle donne

ha detto Roza Isakovna Otunbayeva, rappresentante speciale delle Nazioni Unite e capo della missione di assistenza UNAMA (la missione Onu in Afghanistan).

Vietato lavorare all’Onu

Ma con tutte queste limitazioni alle libertà delle donne, il governo afghano non fa altro che peggiorare la sua stessa situazione, già precaria e instabile. Tra le ultime restrizioni, quelle che hanno suscitato la reazione della comunità internazionale sono il divieto per le donne di lavorare per le ONG (da febbraio) e di lavorare per le Nazioni Unite (da settimana scorsa). Così facendo l’Afghanistan non limita solo le possibilità di emancipazione di ogni donna ma limita anche le sue stesse possibilità di risollevarsi come Paese da una situazione sociale e economica disastrosa:

In un momento in cui il Paese ha bisogno di tutto il suo capitale umano per riprendersi da decenni di guerra, metà dei suoi potenziali medici, scienziati, giornalisti e politici sono rinchiusi nelle loro case, i loro sogni infranti e i loro talenti confiscati.

Otunbayeva

È evidente che impedire alle donne di lavorare per ONG e ONU ha conseguenze dirette per la distribuzione di aiuti umanitari alla popolazione bisognosa e, soprattutto, donne e bambini.

Una testimonianza diretta

Seima ha 26 anni è rimasta vedova a causa del Covid e così è da sola senza il mahram (il tutore maschio) che la accompagna quando esce di casa per ogni qualsivoglia necessità. È disperata perché adesso gli aiuti umanitari sono distribuiti da soli uomini ai soli uomini. Le donne non possono ritirarli, a farlo per loro deve essere, appunto, il mahram. Che sia il marito, il padre, un fratello o un figlio adulto.

Senza il personale femminile, inoltre, non c’è nessuno che possa entrare in casa sua per valutare e condizioni in cui vive e, di conseguenza, darle l’assistenza necessaria. Ma se gli operatori umanitari non sono a conoscenza della situazione in cui versano le donne sole (circa un quarto delle famiglie afghane ha come capofamiglia una donna) non le possono inserire nel programma di distribuzione degli aiuti e così muoiono di fame o malattie.

C’è bisogno di donne

C’è bisogno di donne e di equipe miste che lavorino per le organizzazioni umanitarie. È necessaria la presenza di personale femminile per poter ascoltare le istanze di tutte le donne sole che altrimenti non vengono nemmeno prese in considerazione. Le donne sono essenziali per le operazioni salvavita.

Per questo l’ONU condanna il governo talebano di crimini contro l’umanità. Perché discriminare una donna solo perché è donna lede gravemente i suoi diritti fondamentali. E la discriminazione di genere va contro i principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

L’appello di Guterres

Lo stesso Guterres, Segretario Generale delle nazioni Unite, si è appellato ai talebani:

Revocate immediatamente tutte le misure che limitano i diritti delle donne e delle ragazze al lavoro, all’istruzione e alla libertà di movimento perché violano gli obblighi dell’Afghanistan ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani e violano il principio di non discriminazione.

Per ora, però, il governo afghano non sembra intenzionato ad ascoltare le richieste e, anzi, continua a ritenere la sua idea di rispetto delle donne in linea con la sua interpretazione della legge islamica. Ma il divieto di essere donna può essere un’idea di rispetto?

La decisione dell’Onu

L’Onu ha chiesto ai suoi dipendenti uomini in Afghanistan di non recarsi sul posto di lavoro. Perché se non lo possono fare le donne non lo faranno nemmeno gli uomini. Almeno per ora. Si tratta di circa 3.000 dipendenti in totale (uomini e donne) che rimarranno a casa fino a inizio maggio (ovviamente continueranno ad essere stipendiati). La scelta a cui i talebani hanno costretto le Nazioni Unite e tutte le altre organizzazioni umanitarie, fa sapere l’Onu stessa, è spaventosa.

Si tratta infatti di scegliere tra i propri solidi principi, che prevedono la parità di genere e il diritto di ogni donna, al pari di ogni uomo, di lavorare, oppure continuare la missione di distribuzione di aiuti umanitari e di sostegno agli indigenti.

Ovviamente, la scelta presa dall’Onu avrà delle dirette conseguenze sulla popolazione afghana poiché la sua missione cerca di raggiungere 28 milioni di persone vessate da decenni di guerra e povertà. Ritirarsi adesso o sospendere le operazioni avrebbe conseguenze drammatiche.

Il divieto di essere donna

Ecco alcune delle restrizioni che i talebani hanno imposto alle donne afghane.

Sostanzialmente, è come se tra le righe ci fosse un divieto di essere donna. Alle donne non è più concesso studiare, lavorare, uscire di casa con le amiche, socializzare, fare la spesa in autonomia, ridere pubblicamente, ascoltare musica, vestirsi di giallo, leggere un libro e ricevere cure adeguate.

Ma allora cosa può fare una donna in Afghanistan?

Le uniche attività concesse alle donne Afghane sono quelle di scomparire tra l’arredamento domestico, restare in silenzio e subire discriminazioni. Anche le più classiche e patriarcali attività ad appannaggio femminile sembrano essere loro precluse. Faccende domestiche, educazione dei figli, piccole attività di sartoria o simili. Tutto in una società del genere diventa difficile e, soprattutto, pericoloso per una donna.

L’Unica speranza è che Onu e ONG non lascino il campo, che perseverino nelle loro attività umanitarie senza arrendersi alle evidenti difficoltà, che trovino le vie per raggiungere gli strati della popolazione più indigenti e soprattutto le donne. Perché, al contrario, la speranza che i talebani si convertano a una visione del mondo in cui le donne esistono è pressoché inesistente.

Arianna Ferioli

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