Il disturbo psicotico è una condizione di alterazione psichica. In poche parole, potrebbe essere definito come il risultato di un radicale rifiuto della realtà, che conduce chi ne è affetto ad una trasfigurazione della medesima. Il soggetto psicotico si trova in uno stato di eccessiva confusione che pregiudica la sua capacità di riconoscere e comportarsi secondo quella che socialmente è considerata la norma.
Realtà e verità
Si crea una scissione di pensiero in cui smette di esserci una corrispondenza univoca tra realtà e verità. Di norma, questi due concetti tendono ad essere sovrapposti in una società: non ci interroghiamo sul perché compriamo cibo con della carta stampata. Questo perché la collettività sa che dopo il baratto è stata inventata la moneta, un oggetto prezioso cui è stato attribuito un valore e che si può scambiare per cibo e servizi. Pur non essendoci della verità nel valore della moneta, il comune accordo di un gruppo di individui contribuisce a dare una logica ad un’attribuzione di senso che in realtà è arbitraria. Si crea così una realtà che è riconosciuta come vera da tutti quelli che capiscono come funziona e ne traggono vantaggio.
Ma cosa succede quando la verità del mondo, dell’altro, del fuori, resta incompresa? Cosa succede quando si creano ostilità verso quella realtà dove non si è deciso di vivere, ma con cui bisogna scendere a compromessi per sopravvivere?
“La nevrosi sarebbe l’effetto di un conflitto tra l’Io e il suo Es, mentre la psicosi rappresenterebbe l’analogo esito di un perturbamento simile nei rapporti tra Io e mondo esterno.”
Sigmund Freud
Conflitto, fuga e isolamento
Ciò che più comunemente è associato all’insorgere del disturbo psicotico sono dolore e frustrazione causati dall’ambiente esterno, spesso condita dall’uso di stupefacenti o alcol (anche se in alcuni casi, la predisposizione genetica gioca un ruolo determinante).
La psicosi si configura come un meccanismo di difesa che attraverso la negazione della realtà, protegge dalla sofferenza. L’individuo si rifugia nell’universo ermetico della propria mente, e così facendo tenta a livello inconscio di fuggire dal mondo e ignorare le difficoltà che trova nell’interagirci.
L’allontanamento dal reale, da ciò che si teme, comporta allo stesso tempo un distacco dai quelle naturali tendenze sociali dell’uomo come solidarietà, cooperazione, fiducia. Non riconoscendo i valori portanti della realtà in cui vive, diviene naturale anche l’isolamento da coloro che invece sono integrati.
Autocoscienza
Una differenza fondamentale tra nevrosi e psicosi è che nel primo caso l’individuo è cosciente di avere un disturbo e ne soffre. Il soggetto psicotico invece non ha capacità di autodiagnosi – visto che si rapporta al reale solo attraverso le sue percezioni soggettive. Ciò implica che la diagnosi possa essere effettuata solo da un esterno, dopo un raffronto tra i comportamenti dell’individuo e la norma della società in cui vive. Ovviamente la diagnosi è effettuata da esperti che sono al corrente di tutta la sintomatologia ricorrente legata al disturbo.
Psicosi e convenzioni
Ma è sorprendente notare come convenzione e tradizione giochino un ruolo fondamentale nel processo. Per esempio, se ad un matrimonio in Italia un invitato si alzasse, togliesse le scarpe agli sposi e iniziasse a percuotere i loro piedi nudi, probabilmente non servirebbe un esperto per capire che c’è qualcosa che non va. Eppure in Corea del Sud questa è una tradizione onerosa, e gli ospiti non possono andarsene senza averlo fatto. La caccia alle streghe era la norma in epoca medievale, mentre oggi se qualcuno desse fuoco ad una donna solo perché possiede un gatto nero sarebbe giustamente considerato disturbato. La decontestualizzazione di un’azione la rende anormale rispetto al contesto sociale, che però muta nel tempo e nello spazio, assieme al concetto stesso di normalità.
Psicosi e società
E qui sorge un interrogativo interessante. Abbiamo detto che il soggetto incapace di autodiagnosi ha bisogno di un intervento esterno per rendersi conto del proprio disturbo psicotico. Questo implica che l’anormalità di un comportamento emerge solo se sentenziato dalla società.
Ma quale è la verità sulla cui base la società giudica?
Potremmo dire che non c’è una verità alla base dei concetti di normale e anormale, a meno che non li si usi in relazione ad un termine di paragone. E in questo caso il termine di paragone sono quei valori su cui si basa la collettività sociale stessa. Valori a volte non necessariamente positivi che negli ultimi tempi vengono spesso messi in dubbio soprattutto dalle nuove generazioni. Competizione, individualismo, discriminazioni di ogni sorta, consumismo: per certi versi, una caccia alle streghe moderna, cui sembra naturale aderire nel ventunesimo secolo.
Ma qual è allora, la voce esterna che diagnostica la psicosi alla società?