– di Michele Marsonet –
Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane
Ormai ci siamo abituati. Anche quest’anno negli Stati Uniti i partiti si sono dati battaglia sul problema del tetto al debito federale. Non è certo questione di poco conto. Qualora l’accordo non venisse raggiunto, avremmo il default dell’economia americana e, in tale eventualità, il caos nell’intera economia mondiale.
Come tutti i presidenti che lo hanno preceduto, anche Joe Biden ha dovuto affrontare questo problema. Non a caso si è visto costretto accorciare il suo tour asiatico e tornare di corsa a Washington per scongiurare l’eventualità di cui sopra.
Dopo parecchi incontri tra lo stesso Biden e lo speaker repubblicano alla Camera, Kevin McCarthy, il pericolo è stato scongiurato, ma l’accordo ufficiale è costato lacrime e sangue.
Si noti che a partire dal 1917, anno dell’intervento Usa nella prima guerra mondiale, il Congresso ha sempre votato l’innalzamento del tetto del debito. Negli ultimi tempi, tuttavia, i presidenti hanno incontrato difficoltà sempre maggiori a causa del contrasto tra i partiti.
Prima, però, occorre rammentare quali sarebbero le conseguenze di un mancato accordo. Il Tesoro non avrebbe la liquidità necessaria per pagare gli stipendi dei militari, dei dipendenti federali e dei beneficiari dei programmi di assistenza pubblica come Social Security, Medicare e Medicaid. Dulcis in fundo, mancherebbero anche i soldi per rimborsare i detentori di titoli del Tesoro
Un vero disastro, insomma. Finora il default è sempre stato scongiurato in extremis, ma il peggioramento dei rapporti tra i partiti ha reso l’impresa via via più difficile, e il presidente in carica deve intavolare lunghe trattative con il Congresso per allontanare il pericolo.
In estrema sintesi, i Democratici vogliono ridurre il debito tagliando i fondi del Pentagono e trasferendone una quota all’assistenza pubblica e all’ammodernamento delle infrastrutture civili. I Repubblicani, al contrario, non vogliono tagliare le spese militari e puntano a una riduzione di quelle destinate ai problemi assistenziali (peraltro già minori rispetto, per esempio, alle spese dei Paesi europei in tale settore).
Trovare la quadra non è facile, anche se Biden alla fine ci è riuscito. Tuttavia il possibile accordo accentua le divisioni tra radicali e moderati in ciascuno dei due partiti. Il nuovo capogruppo democratico alla Camera, il 52enne deputato afroamericano Hakeem Jeffries, è stato accusato di debolezza da parte di esponenti radicali quali Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders.
Ma anche nel campo repubblicano le acque non sono affatto tranquille. I sostenitori di Donald Trump accusano la leadership del partito di eccessiva debolezza, criticando l’appoggio militare totale all’Ucraina che, a loro avviso, comporta spese eccessive per gli Stati Uniti.
L’accordo è stato raggiunto poiché tutti temono le conseguenze di un eventuale default dell’economia Usa. Tuttavia questa continua altalena, che si ripete puntualmente ogni anno, desta perplessità crescenti all’estero gettando ombre pesanti sulla leadership Usa in Occidente.