Nell’opera di ricerca di un terreno comune tra le varie confessioni, il dialogo interreligioso si pone come punto di incontro e confronto a beneficio dell’umanità. Tolleranza e compassione sono le qualità necessarie per realizzare una profonda unità mondiale, nonostante le differenze dottrinali tra le religioni, perché i veri nemici sono la violenza, l’ignoranza, i fanatismi e i radicalismi. Rispetto e armonia sono le basi su cui fondare questo lavoro, perché ogni uomo – incluso chi non si riconosce in alcuna fede – deve godere di pari dignità.
Il Prof. Demetrio Marco De Luca è Presidente Internazionale dell’Alto Comitato della Fondazione Cultura delle Religioni per l’Umanità e la Pace e da sessant’anni è impegnato nella promozione del dialogo interreligioso tra le nove grandi Religioni Storiche ed il mondo laico.
Prof. De Luca, qual è la missione della Fondazione Cultura delle Religioni per l’Umanità e la Pace?
Noi lavoriamo al dialogo interreligioso con tutte le religioni, le istituzioni e le grandi scuole di pensiero per la nascita di un nuovo Umanesimo.
Professore, vorremmo conoscere la sua storia e come ha iniziato a lavorare al dialogo interreligioso.
La mia storia inizia da un’amicizia straordinaria con il Cardinale armeno Pietro Gregorio Agagianian; era un personaggio eccezionale, tanto da essere incluso nella rosa dei papabili alla morte di Papa Pio XII (1958) e di Papa Giovanni XXIII (1963).
Nel 1962 ebbe inizio il Concilio Ecumenico Vaticano II (11 ottobre 1962 – 8 dicembre 1965) ed io – allora diciassettenne – fui chiamato dal Cardinale, che era in quell’occasione uno dei quattro membri della commissione direttiva del Concilio Vaticano II, ad incontrare molti Padri della Chiesa sulle grandi tematiche del Cristo e delle religioni. Da questo Concilio, il 28 ottobre 1965, nacque “Nostra Aetate”.
Inizialmente, la Chiesa Cattolica – così come le altre confessioni religiose – si riconosceva come la sola detentrice dell’unica Verità e considerava gli altri ‘fratelli minori’. “Nostra Aetate” segna un importante punto di svolta.
Il Concilio aveva già preparato un documento (n.d.r. “Unitatis Redintegratio” del 1964) sull’ecumenismo, cioè sul rapporto tra le Chiese Cristiane, ma la dichiarazione “Nostra Aetate” fa di più e va oltre: invita tutte le religioni – anche quelle orientali – a partecipare al dialogo interreligioso e a lavorare insieme per l’umanità e la pace. In questo, il Concilio fu straordinario e avveniristico e molti degli uomini che vi parteciparono degli illuminati.
Tra i primi cultori del dialogo interreligioso negli anni ’80 fummo il sottoscritto, il Rabbino Capo di Roma Elio Toaff, l’Imam Shaykh Abd Al-Wahid Pallavicini, che era il capo del mondo musulmano italiano, e il Cardinale Achille Silvestrini, Segretario della Santa Sede per i rapporti con gli Stati. Dall’84 all’85, molti altri personaggi – sempre più sensibili e attenti – si sono interessati al dialogo con le religioni, fino all’incontro interreligioso di Assisi (1986).
Avrete incontrato diversi ostacoli.
C’era un periodo in cui le religioni partirono male… con il piede sbagliato, nel senso che si confrontarono su posizioni dottrinali – e chiaramente, in questo, ognuno aveva riti e dottrine diversi. Così, per uscire dall’impasse, suggerii di spostare l’attenzione sui due grandi temi che accomunano tutte le religioni: la sacralità della vita umana e la sacralità della natura. Su questo secondo punto anche Papa Francesco ha un’attenzione particolare, tanto che nel 2015 ha scritto l’enciclica “Laudato sì” sul rispetto verso la natura.
Finalmente, a partire dagli anni ’90, le nove grandi Religioni Storiche hanno iniziato a lavorare insieme, superando i punti di divergenza per supplire a ciò che la vita sociale e politica non è in grado di dare. Gli Stati, infatti, si interessano delle regole, ma le religioni sono le radici dei popoli e si incontrano sui grandi valori dell’umanità. Si è quindi costruito prima un dialogo attento, di rispetto e costruttivo, e poi si è cercato il rapporto con le istituzioni, perché le religioni non devono fare politica, ma portare avanti i grandi valori antropologici e provocare le istituzioni affinché realizzino i valori dell’umanità, confrontandosi contemporaneamente con le diverse culture e con le scuole di pensiero.
Professore, tornando al lavoro della Fondazione Cultura delle Religioni per l’Umanità e la Pace, quali sono le principali tappe storiche che ne hanno segnato la nascita?
Dal 15 al 17 novembre 2013, a Galtellì (Nuoro) in Sardegna, tenemmo un convegno di incontro mondiale tra le nove grandi Religioni Storiche, dove fu redatto un documento comune in cui si decideva di lavorare insieme in dialogo per la realizzazione del progetto O.R.U. (Organization Religions Union), meglio noto come “Conferenza mondiale permanente delle Religioni per l’Umanità e la Pace”: una specie di ‘O.N.U. delle religioni’. Per realizzare questo obiettivo, serviva una fondazione. Quindi, il 13 maggio 2014, abbiamo costituito la “Fondazione Cultura delle Religioni per l’Umanità e la Pace”.
Quali sono le rappresentanze religiose che vi partecipano?
Sono membri attivi e sensibili provenienti dalle nove grandi Religioni Storiche; ovvero le tre realtà cristiane (i.e. cattolici, protestanti e ortodossi) che si sono separate per motivi politici, gli ebrei e i musulmani, cioè le cinque confessioni abramitiche, e poi le religioni orientali, ovvero i buddisti, i taoisti, gli induisti e i bahai. Insieme, rappresentano oltre l’88% della popolazione mondiale.
Prof. De Luca, ci faccia qualche esempio: come si concretizza l’attività della fondazione e cosa si può ottenere dal dialogo interreligioso?
Ad esempio, Papa Francesco si è recato in Egitto al Cairo per incontrare il Grande Imam di Al-Azhar – quindi il mondo musulmano che è contro il terrorismo – e si è diffuso il concetto per cui gli uomini sono “tutti fratelli” in quanto figli di un unico Padre. Da questo incontro, e dal dialogo interreligioso, è nato il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” del 4 febbraio 2019, grazie al quale le Nazioni Unite hanno poi dichiarato il 4 febbraio “Giornata internazionale della fraternità umana”.
Ci interessiamo di tutto – anche di immigrazione e dell’impatto sociale della pandemia. Durante il Covid-19, abbiamo spinto molto per la responsabilizzazione degli organismi sanitari e politici dei Paesi verso il Terzo Mondo, come l’Africa.
Oggi il mondo è in evoluzione e questo sta diventando un elemento di ricostruzione e spinta. Stiamo vivendo un momento di ritorno ai grandi valori antropologici e in questo le religioni hanno un compito pastorale determinante.
Parliamo della recente situazione in Afghanistan.
La situazione è drammatica. Le Grandi Potenze hanno lavorato in maniera non valoriale ed inumana.
Consideri che, quando Trump ha lasciato la Siria, dando ad Erdogan l’occasione di recarsi in loco con l’intenzione di distruggere quel gruppo di 170 mila curdi che aveva combattuto contro l’Isis, le Religioni hanno lavorato moltissimo per sensibilizzare Europa, Cina, Russia e Giappone, ottenendo un impegno politico-militare che ha spinto la Turchia a recedere.
Oggi, la situazione in Afghanistan ci preoccupa moltissimo: la popolazione femminile è a grande rischio, ma lo sono anche tutti coloro i quali non se la sentono di aderire in maniera supina alla visione della politica della Sharia. Ecco, questo è un insegnamento importante del cristianesimo: Cristo fonda il laicismo, cioè la visione laica dello Stato per cui la religione non dovrebbe entrare nelle questioni della politica. In questo, una parte del mondo musulmano subisce azioni e pressioni di realtà politiche ed economiche che spingono sprovveduti e fanatici tra gli islamici a posizioni assolutamente non rispondenti a nessuna visione autenticamente religiosa.
Queste strumentalizzazioni non sono originate dalle comunità religiose, ma sospinte da visioni politiche ed economiche estreme, che non amano le conclusioni di pace e di rispetto tra i popoli e gli uomini e che desiderano un mondo di comparazione e conflittualità – che, in effetti, nuoce a tutti.