La lettura di un romanzo è in grado di suscitare tante emozioni diverse. Alcune di queste possono esser dettate dal particolare momento in cui ci si presta alla lettura, altre dalla peculiare sensibilità di ognuno di noi. Alcuni libri possono lasciarci indifferenti, altri invece entrare a far parte di noi sin dalla primissima pagina. Quest’ultimo è il caso del libro che sto per presentarvi, “Il cuore selvatico del ginepro” di Vanessa Roggeri.
È notte. La notte ha un cielo nero come inchiostro, e solo a tratti i fulmini illuminano l’orizzonte. È una notte di riti e credenze antiche, in cui la paura ha la forma della superstizione. In questa notte il rumore del tuono è di colpo spezzato da quello di un vagito: è nata una bambina. Ma non è innocente come lo sono tutti i piccoli alla nascita. Perché questa bambina ha una colpa non sua, che la segnerà come un marchio indelebile per tutta la vita. La sua colpa è di essere la settima figlia di sette figlie e per questo è maledetta. E nel piccolo paese dove è nata, in Sardegna, c’è un nome preciso per le bambine maledette, si chiamano cogas, che significa strega. Liberarsene quella stessa notte, abbandonarla in riva al fiume. Così ha deciso la famiglia Zara.
Il racconto inizia con un fatto aberrante. La famiglia Zara, mossa dal timore evocato dalla superstizione, decide di abbandonare l’ultima nata in riva a un fiume, rea soltanto di essere la settima figlia femmina. In un paese, Baghintos, preda di retaggi culturali, basati sulla figura emblematica della strega, non esiste altra soluzione: la bambina deve essere abbandonata per poter poi tornare alla vita di tutti i giorni, come se, quella notte, nulla fosse successo.
Le “cogas“, infatti, secondo una tradizione popolare della Sardegna centro-meridionale, erano creature maledette. Una volta cresciute si intrufolavano nelle case per uccidere i bambini appena nati di sesso maschile. Le “maledette”, alla nascita erano riconoscibili, secondo questa perversa credenza, per un piccolo pezzo di coda.
Ma qualcuno non ci sta con questa decisione. Lucia, la primogenita della famiglia Zara, compie il primo atto ribelle dei suoi dieci anni di vita. Fugge via di casa e, sotto una pioggia incessante, raccoglie la propria sorellina per trarla in salvo da quel destino infausto. Non c’è alternativa per gli Zara. La piccola ha superato la notte e, quindi, devono tenerla in casa con loro.
Ma il suo destino è già scritto. Giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, sarà emarginata. Odiata. Reietta. Da tutti, tranne che da Lucia. È lei l’unica a non averne paura. Lei l’unica a frapporsi tra la cieca superstizione e l’innocenza di Ianetta.
Il gesto eroico di Lucia ha salvato la vita della piccola Ianetta. Ma il destino della bambina, tacciata come “coga”, è già segnato. Vittima dell’ignoranza dilagante nel paese, viene incessantemente presa di mira, sia dagli abitanti del paese, sia, ancora peggio, dai membri della propria famiglia. Ha inizio il lento declino della famiglia Zara, soffocata dalla paura, dall’odio che rende muta la voce del cuore. Ianetta è costretta a restare sola. Nei suoi confronti si prova soltanto risentimento per la sua venuta al mondo.
Non esiste amore per Ianetta, se non quello della sorella maggiore, Lucia, anch’ella, però, a tratti, corrotta dal dubbio. Infatti, anche colei che ha tratta in salvo la coga, in alcuni casi tentenna nel prestare un ulteriore mano a una sorella vittima della superstizione. In questo vortice di malevolenza, Ianetta sarà costretta a vivere in un perenne stato di ansia e inadeguatezza per una colpa non sua. Ianetta resiste, abituata, come il ginepro, a stare in luoghi inospitali. Ma i continui e riprovevoli sguardi, la totale mancanza di affetto dilaniano e incupiscono il cuore di Ianetta sino a raggiungere lo scopo più subdolo, farle credere di avere realmente una colpa.
Io sono coga! Io sono coga! Mangio cuore di bambini, tutto il loro sangue bevo! Il campo secca e il maiale crepa! Crepa, crepa, crepa!
I personaggi che le ruotano attorno sono il ritratto dell’odio. Assunta, la madre, divorata dall’ignoranza, vede nella figlia solo un disturbo, al quale avrebbe dovuto porre rimedio in maniera più efficace. Severino, il padre, è un uomo debole, sopraffatto da ciò che lo circonda e incapace di ribellarsi all’ingiustizia perpetrata nei confronti della figlia.
In tutto questo grigiore una luce fluttua all’orizzonte, come la lampada tenuta dalla sorella Lucia quella notte dal “cielo nero come inchiostro”. In un’incessante guerra tra superstizione e ragione, si schiera al seguito di quest’ultima la figura emblematica del Dottor Giuseppe Spada.
“Il cuore selvatico del ginepro”, edito da Garzanti, è un capolavoro letterario. Si tratta di un libro prezioso, capace di suscitare emozioni molto contrastanti tra loro. L’ingiustizia compiuta nei confronti di Ianetta evoca sensazioni ingestibili: si ritorce lo stomaco pensando alle cattiverie che ha dovuto subire, si prova un misto tra compassione e disprezzo per tutti i personaggi a lei vicina.
La superstizione rovina i rapporti tra le persone in una maniera subdola instillando il dubbio nel loro cuore. Il modo nel quale ci si rapporta non è più lo stesso. L’amore lascia spazio all’odio e tutto diventa buio. Consiglio vivamente la lettura di questo libro.
Giuseppe Bua
Sembra interessante, lo leggerò sicuramente