Il cuoco e lo zar: il gioco a somma zero tra Prigožin e Putin

il gioco a somma zero tra Prigožin e Putin

La tentata marcia su Mosca messa in atto dai paramilitari della Wagner e interrottasi dopo la mediazione del presidente bielorusso Alexander Lukashenko, rappresenta il culmine di un piano concepito diversi mesi fa dal loro fondatore, Evgenij Prigožin, per mettere fuori gioco gli attuali vertici militari russi. Ma il gioco a somma zero tra Prigožin e Vladimir Putin, per ora solo in stand-by, ha anche mostrato al mondo intero e alla Russia tutta la debolezza dell’ultimo zar.

Sun Tzu affermava che l’arte suprema della guerra è quella di sottomettere il nemico senza combattere. E il gioco a somma zero tra Prigožin e Putin di questi giorni ne è la rappresentazione plastica. L’insurrezione dei paramilitari di Wagner contro il Cremlino, prontamente interrotta dallo stesso leader Prigožin a soli 200 chilometri da Mosca, ha avuto il merito di aprire  nuove e profondissime crepe nei rapporti tra il presidente Vladimir Putin e gli apparati dello stato profondo, mostrando al mondo intero la debolezza dell’ultimo zar.

Prigožin non ha portato a termine la sua marcia per la libertà, lasciando il mondo con il fiato sospeso e annunciando che le sue truppe  torneranno ai posti di combattimento in Ucraina. La decisone è maturata grazie ad una mediazione condotta dal leader bielorusso, Alexander Lukashenko, forse l’ultimo fedele alleato di Vladimir Putin. 

Perché Prigožin ha ordinato il dietrofront alle sue truppe dirette verso Mosca?

Il giorno dopo  il dietrofront della marcia su Mosca del gruppo Wagner, il silenzio sui canali social del fondatore della brigata di mercenari, Evgenij Prigožin – dopo le escalation verbali, le dichiarazioni e gli attacchi sulla gestione dell’invasione russa in Ucraina degli ultimi mesi –  suona più assordante che mai.

L’annuncio della ritirata di Prigožin – lungi dall’aver disinnescato una crisi  drammatica tra i vertici del potere russo – ha infatti messo a nudo le tante debolezze della leadership di Putin, lasciando intravedere la fine del suo regime. L’avanzata dei mercenari di Wagner in territorio russo, dopo che avevano già occupato la città di Rostov sul Don, rappresenta il culmine di un piano che l’ex “cuoco di Putin” aveva concepito diversi mesi fa per tentare la propria scalata al potere e scalzare così gli attuali vertici militari russi.

E così quando la colonna armata dei suoi mercenari è giunta a circa 200 chilometri da Mosca, il leader del gruppo paramilitare ha accettato di interrompere la sua marcia, ufficialmente per evitare di “spargere sangue russo”. Tuttavia, Prigožin non ha specificato successivamente se Mosca avesse risposto alla sua richiesta di estromettere il ministro della Difesa Sergei Shoigu e del comandante delle forze russe in Ucraina, il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov. 


A quanto pare la  decisione di Prigožin sarebbe maturata dopo un colloquio telefonico con il leader bielorusso Aleksandr Lukashenko. Questo è quanto riferisce l’agenzia di stampa russa “Tass” che parla del raggiungimento, tra le due parti, di una “soluzione accettabile” in grado di risolvere la situazione, con annesse anche delle garanzie di sicurezza per i combattenti del gruppo Wagner.

Putin è davvero rimasto solo?

Il piano messo a punto dal capo della Wagner vanta molteplici protagonisti dietro le quinte: ufficiali delle Forze armate e dell’intelligence, oligarchi preoccupati per i loro patrimoni custoditi in Occidente, ma anche esponenti della cerchia intima putiniana divenuti insofferenti al potere dello zar insieme a ultrà nazionalisti.

Per questa ragione, è lecito supporre che l’accordo accettato dal capo della Wagner e mediato dal presidente bielorusso Aleksander Lukashenko, abbia ottenuto quasi sicuramente il benestare anche da parte degli altri attori coinvolti nella vicenda. E a ulteriore conferma della possibilità che l’impresa tentata dai mercenari della Wagner non sia stata soltanto un’iniziativa orchestrata dal loro fondatore, ci sarebbe la netta condanna di alcuni esponenti della milizia mercenaria che, a poche ore dall’annuncio di Prigožin di marciare su Mosca, hanno deciso di prendere le distanze dal progetto di insurrezione. Tra questi figura il generale Sergei Surovikin,  ex comandante delle forze di terra russe in Ucraina, molto popolare tra gli ultranazionalisti del paese, la cui retrocessione lo scorso anno aveva provocato vibranti proteste on line.

Surovikin ha esortato  i militari della Wagner a rimanere fedeli al loro presidente. “Vi esorto a smetterla”, ha detto in un videomessaggio pubblicato su Telegram; “Insieme a voi, abbiamo percorso un percorso difficile, abbiamo combattuto insieme, abbiamo rischiato, subito perdite, abbiamo vinto insieme. Siamo dello stesso sangue, siamo guerrieri. Perciò vi esorto e fermarvi e obbedire al volere del presidente. Il nemico sta solo aspettando che la situazione peggiori nel nostro paese”. 

Quel che certo, è che la sfida lanciata da Prigožin rappresenta per Putin un attacco diretto al suo potere. E anche le sensazionali indiscrezioni rilanciate dal Washington Post che vorrebbero il presidente russo Vladimir Putin a conoscenza dei piani di Prigožin di marciare su Mosca almeno 24 ore prima degli eventi, non migliorano in alcun modo la posizione del capo del Cremlino.

Cosa potrebbe accadere nei prossimi giorni

Prima che Prigožin annunciasse il dietrofront delle sue milizie, Mosca si era preparata all’arrivo di un esercito ribelle, erigendo posti di blocco con veicoli blindati e truppe sul suo confine meridionale. La Piazza Rossa era stata chiusa e il sindaco, Sergey Sobjanin, fedelissimo di Putin, aveva esortato gli automobilisti a stare lontani da alcune strade. Ma, al di là delle misure di sicurezza predisposte per la capitale, l’evidenza dei fatti mostra come l’ex cuoco di Putin sia riuscito a marciare per 700 chilometri nel territorio russo, al comando di una colonna di mezzi corazzati e circa 25mila uomini, diretto sulla capitale, senza incontrare alcuna resistenza lungo il percorso.

Tutto ciò rappresenta un colpo enorme per lo zar, soprattutto se si considera che la compagnia Wagner, oltre ad essere un reparto di mercenari addestrati a fare la guerra, è un pezzo importante del deep state russo che affonda i suoi gangli vitali direttamente negli apparati di potere. La sua insurrezione è perciò l’inizio di qualcosa di veramente grande e potenzialmente incontrollabile anche per lo stesso Putin.

Il fatto stesso che l’avanzata si sia fermata a soli 200 chilometri dall’obiettivo senza nessuna tentativo di opposizione da parte dell’esercito regolare russo, da l’idea che per il momento i golpisti abbiano voluto congelare il colpo di stato sia stato, lasciandolo stand-by. Con la sua azione, l’ex cuoco Prigožin ha scosso profondamente la glaciale calma dello Zar, lasciando intendere che la frattura apertasi nella società russa con la guerra in Ucraina può finire con un’altra rivoluzione, proprio come quella del 1917, parallelo rovesciato dallo stesso Putin durante il suo discorso alla nazione poche ore dopo la ribellione dei paramilitari della Wagner.

Tommaso Di Caprio

 

 

 

 

 

 

 

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