Il cretto di Gibellina: la memoria storica del terremoto

Cretto di Gibellina

Al Festival del Cinema di Roma è in uscita il documentario “La legge del terremoto”, opera prima di Alessandro Preziosi come regista. Il noto attore di cinema e teatro viaggia per l’Italia per raccontare il dramma e la rinascita dei terremoti: una storia fatta di memoria storica, familiare ed emotiva, in cui lui stesso, oltre ad essere il narratore, è parte della storia, avendo vissuto il terremoto in Irpinia del 1980. Una delle tappe principali di questo documentario è il cretto di Gibellina, opera di land art site-specific creata da Alberto Burri, tutt’ora il maggiore sempre di land art italiana.




Il cretto di Gibellina è, inoltre, uno dei migliori esempi di memoria storica legata al terremoto. Il cretto fa nascere dalle macerie di una vita passata e ormai lontana un capolavoro dell’arte, per la memoria dei posteri.

Alberto Burri e il Cretto di Gibellina

È con le crepe che parla Alberto Burri, il noto artista dell’arte povera.
Alberto Burri era un medico di guerra, catturato prima degli inglesi e poi dagli americani, venendo anche detenuto in Texas per 18 mesi. È in quella prigionia che maturò il pensiero di fare arte. Le sue opere non nascosero nulla del dolore di quei trascorsi: sacchi poveri e cuciti assieme, plastica che si scioglie come una ferita sanguinante, infine i famosi cretti, crepe che ricordano la siccità del deserto.

Il cosidetto cretto di Burri si trova a Gibellina, città distrutta dal terremoto del Belice del 1968. Lo stesso anno che fu cruciale per la storia italiana, in cui la società stessa si crepava dolorosamente per rinascere, più libera e moderna. È alla rinascita che pensa Burri, quando con i resti della vecchia Gibellina crea un capolavoro della land art.

Crepe in cui camminare, in cui perdersi nei ricordi, tenendo in mente che quel cemento contiene case, memorie, luoghi ormai perduti nella forma ma ancora presenti, come cicatrici bianche sul bel volto della Sicilia. Le macerie diventano parte del cemento con cui si crea il cretto, che ripercorre le vie della vecchia Gibellina.

Il cretto, in sè, non è un soggetto nuovo per Burri, che lo ha affrontato in una serie di quadri detti proprio Cretti. Il risultato, a Gibellina, è il congelamento di un paese che non esiste più. Alcuni dei ruderi di Gibellina sono ancora visibili, a 350 metri dall’opera.

Il cretto come memoria e collettività

Quello che Burri ha creato è una necropoli moderna, un fermo immagine nel tempo di una città fantasma, come memoria storica per i posteri e come contatto con il passato per chi lo ha vissuto. Ha dato nuova anima e nuova vita a delle macerie, che rappresentavano in sè proprio la fine di un’esistenza. È lo stesso Burri a parlarne.

“Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. “Qui non ci faccio niente di sicuro”, dissi subito, “andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese”. Era quasi a venti chilometri. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l’idea: ecco, io qui sento che potrei fare qualcosa. Io farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest’avvenimento.”

L’arte non è solo funzione creativa ma in memoria di una collettività. È un’arte pubblica e non destinata alle gallerie o ai collezionisti, ma alle persone che hanno vissuto Gibellina, hanno amato Gibellina e l’hanno chiamata casa. Dato che il cretto si può ben vedere dalla strada, è anche un messaggio tutti coloro che passano per  il cretto di Gibellina: un promemoria bianco, ben visibile agli occhi.

Giulia Terralavoro

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