Il CPR di Milano come Guantánamo

Il CPR di Milano come Guantánamo

Il CPR di Milano come Guantánamo

A. è un ragazzo giovane e ha una compagna in attesa di un bambino. È tunisino e non possiede un permesso di soggiorno perciò il suo obbligatorio ingresso al CPR di Milano non può che essere un calvario

Lo dicono gli oggetti che ha ingoiato il suo corpo: delle batterie prima, una lametta poi.  Lo gridano i segni di percosse sulla sua carne al rientro in cella.  Lo dichiara la stessa parola “cella”.  Perchè A. secondo la legge, dovrebbe essere “ospite” di quella struttura, eppure nella stessa è a tutti gli effetti un detenuto privato della propria libertà individuale. Lui e gli altri reclusi di via Corelli 28, sede del Cpr di Milano, sono appesi alla giustizia per degli illeciti amministrativi quali la perdita del lavoro o, appunto, il mancato rinnovo dei documenti che permettono allo straniero di vivere nel territorio italiano. Dunque senza aver commesso alcun reato.

Eppure l’assonanza tra il Centro di permanenza per il rimpatrio ( Cpr) ed il carcere, è immediata.



Il soggetto costretto a vivere presso il centro è sottoposto al degrado psico-fisico, oppresso da innumerevoli privazioni. Assente è la possibilità di comunicare con l’esterno come disporre di condizioni igienico sanitarie accettabili.

 “La gestione del pocket money” inoltre “è totalmente in mano al gestore stesso e di fatto inutilizzabile, se non per le sigarette, dai legittimi proprietari, con la conseguenza che possono acquistare cibo extra solo coloro che possiedono denaro proprio”

denuncia il senatore De Falco ad un anno di distanza dal precedente sopralluogo del 2021 e prosegue il racconto di uno scenario agghiacciante. 

”Sono stati ignorati gli appelli e le denunce che nel frattempo hanno confermato e comprovato abusi e violazioni del diritto alla difesa, alla comunicazione, alla salute delle persone migranti, detenute in condizioni ben peggiori di quelle carcerarie” 

È un limbo che sembra inghiottire qualsiasi regola umana.

Difatti gli esseri umani all’interno della struttura lentamente cedono al trauma delle disastrevoli condizioni, toccando come A. l’estremità dei gesti. Per poi oltrepassarne il limite, fino al suicidio.

È degradazione della dignità di cui si ignorano le ceneri.

Quanto accade in via Corelli però non è una eccezione. Sono 9 le strutture per il rimpatrio attive in Italia oltre a quella milanese, nelle quali vige un identico clima vessatorio. Ambiente di cui resta comunque complesso approfondire le dinamiche a causa della discrezionalità con cui sono gestite le richieste di accesso. Solo un autorizzazione della prefettura può permettere ad associazioni e giornalisti di accedere.

È uno strappo ai diritti cui non si concede alcun ago

Nel tetro ripetersi di tali eventi rema in direzione opposta la rete “Mai più lager – No ai Cpr”. Questa ha denunciato e prosegue nel denunciare il compiersi delle atrocità sulla pelle dei migranti.

Pelle dilaniata dell’inefficienza totale perché i Cpr sono un concreto problema. Oltre a soffocare vite rappresentano un’ingente spesa per lo stato italiano incapaci quali sono di porre in essere ciò per cui sono stati costituiti: il rimpatrio. 

“Nel 2021” sottolinea ancora De Falco “abbiamo verificato che più o meno un terzo delle persone detenute erano state rimpatriate e che quindi il 60 – 65% delle persone alla fine venivano detenute senza scopo e poi liberate. Quest’anno è anche peggio. Il gestore mi ha confermato che da tre mesi non ci sono stati rimpatri”

Non regge alcun perché.

È un inutile macchina generatrice di sofferenza.

Giorgia Zazzeroni

 

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