“Il corpo nero” di Anna Maria Gehnyei: un corpo senza confini

“Il corpo nero” di Anna Maria Gehnyei, edito da Fandango Libri, è un romanzo autobiografico dalla scrittura fluida, asciutta, accattivante. L’autrice racconta una storia fatta di razzismo, umiliazioni, ma anche e soprattutto amore, dignità, fratellanza.

“Il corpo nero”: un romanzo di formazione

Anna Maria Gehnyei, in arte Karima2g, nasce a Roma da genitori liberiani. Immigrata di seconda generazione, deve affrontare in Italia un ambiente ostile, fin dai tempi della scuola. Una vita scandita dalle file per rinnovare il permesso di soggiorno, da battute, osservazioni e comportamenti manifestamente razzisti, che scavano un solco di distacco dalla terra in cui Anna Maria nasce e cui, di diritto, dovrebbe appartenere. L’autrice vive il dramma della non appartenenza. Rifiutata da una società italiana bigotta, razzista e superficiale, che la considera una donna nera prima che una cittadina, Karima è italiana di Roma, ma è anche africana. Respira in casa, grazie ai suoi genitori e alla presenza affettuosa di tutte le persone che la popolano, la cultura di un Paese che non ha mai visitato. Un romanzo autobiografico, un romanzo che racconta una storia di un’immigrazione di seconda generazione, ma soprattutto un romanzo di formazioneIl corpo nero” di Gehnyei, perché esso è innanzitutto un racconto della scoperta di sé, al di là di ogni appartenenza, al di là di ogni confine.

Il regno dai colori al contrario

Anna ama la carbonara, ama le storie della sua terra d’origine, ama i colori e ama la musica. Ama la sua famiglia. In casa vive con il padre, che ascolta Bob Marley ma anche Carboni. Lui è il primo uomo Kpelle cui sia stato consentito emigrare. Con la madre, che è una donna buona e calorosa, la sorella gemella Maria e le zie e gli zii, consanguinei o acquisiti, che i genitori puntualmente ospitano. L’atmosfera è serena, colorata, chiassosa, fatta di lingue, odori e sapori africani. Fuori, invece, il mondo è grigio e problematico.

Le altre mamme giocano con le figlie e raccontano loro anche le favole. Ma io non potrei mai credere a quelle storie, perché bianchi sono i loro racconti, proprio come bianca è la loro pelle. Sono scritte apposta per loro, con fate o gnomi rosa pallido e inverni freddi e nevosi.
Mamma, da dove vieni tu, tutto è colore, non solo la pelle. Non ci sono né l’inverno né la neve a portare il bianco e spegnere i colori. E poi c’è la natura, e di ogni animale, ogni pianta l’intero villaggio rispetta il ciclo.
Mamma, raccontami di Martuaken, del tuo villaggio, nutrimi dei tuoi racconti come mi nutrivo del latte dal tuo seno. Ho fame delle mie radici, ho bisogno di sapere da dove vengo.
Mamma, com’è stato ritrovarsi a vivere nel regno dei colori al contrario?

Un corpo senza confini

Il corpo è ciò che, agli occhi degli altri, per prima cosa ci individualizza. Il corpo non è solo l’immagine di noi stessi, ma un ponte tra il sé e l’alterità. Una stretta di mano, uno sguardo, un sorriso, un abbraccio, una carezza, sono gesti antichi che ci fanno entrare in relazione con l’altro mediante il corpo. Il corpo che diviene oggetto, macchina, il corpo come tempio o come simulacro, il corpo come appartenenza culturale, sono tutte declinazioni in cui leggere e cogliere la complessità relativa al corpo. La ricerca di appartenenza di Anna, passa in primo luogo attraverso il corpo. In quanto donna nera, infatti, subisce discriminazioni continue. Dovrà affrancarsi da questa assenza di appartenenza culturale piena, dalla rottura del rapporto di armonia con l’altro, per capire di essere libera proprio attraverso un corpo che non ha confini. Un corpo che la rende italiana e africana, un essere umano connotato culturalmente che è innanzitutto se stesso.

Glenda Dollo

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