“Quelli che arrivano in Italia sono sempre belli, in forma e muscolosi, evidentemente non hanno bisogno di essere aiutati.”
A tutti noi è capitato di leggere commenti che recitano simili filastrocche insensate. Sempre più questo genere di critiche, inerenti al “corpo nero” dei migranti, intasano i media sottraendosi a qualsiasi considerazione logica e razionale. Come se l’aspetto di un corpo fosse segno di benessere assoluto: fisico, morale e psicologico. Come se non fosse possibile subire guerre, persecuzioni e malattie senza ridurre il nostro corpo allo stremo assoluto.
“Quando lo sguardo bianco si posa sul corpo nero“, diceva Fanon, combattente del Fronte di liberazione algerino e tra i maggiori filosofi del ‘900, “quel corpo viene plasmato e ricreato secondo le aspettative che lo sguardo bianco proietta su di lui. E’ lo sguardo bianco a creare il nero così come è proprio quello sguardo a generare il pregiudizio.”
Prima di lanciarmi nell’analisi del problema del “corpo nero”, quindi, vorrei raccontarvi un breve aneddoto che lo stesso Fanon riporta in numerosi scritti.
Il filosofo algerino racconta di non aver avvertito il colore della sua pelle fino al momento in cui, forte della sua fama di psichiatra, non mise piede a Parigi. Giunto a Parigi, davanti allo sguardo dei suoi connazionali/colonizzatori, Fanon si accorse all’improvviso di essere nero. O meglio, scoprì che il colore della sua pelle non era semplicemente una questione di tonalità, bensì un insieme di caratteristiche e pregiudizi che, lo sguardo bianco, associava e collegava al colore della pelle.
Dopo qualche tempo lo stesso Fanon si scoprì, agghiacciandosi, a domandarsi se tutte quelle caratteristiche pregiudizievoli associate alla sua pelle non fossero effettivamente vere. Si domandò, ad esempio, se potesse realmente correre più veloce di qualsiasi bianco. Ma non solo. Osservando una bella donna, all’improvviso, fu preso dallo sconforto e, schifato, per un attimo, si domandò se il suo apprezzamento, in realtà, non fosse una barbara e primitiva volontà di stupro.
Ecco che il filosofo, dopo mesi passati in questo limbo agghiacciante, in bilico tra la perdita dell’identità personale e il ridursi a banale pregiudizio, comprese la questione. Non solo lo sguardo bianco ha il potere di plasmare e ricreare il nero tramite l’osservazione del corpo. Successivamente è lo stesso nero, incapace di sottrarsi a quell’analisi che si presenta come “universale“, ad accogliere e far suo lo sguardo bianco, con tutti i pregiudizi e le barbare ad esso associate.
A riprova di questo fatto racconta ciò che, una volta, gli disse un suo collega di Santo Domingo:
“Non ha senso che tu vada a Parigi, fidati, lì ci sono i bianchi, i migliori, noi siamo troppo pigri per spiccare in quell’ambiente.”
La scoperta di Fanon è ancora valida. Spesso e volentieri al corpo nero, osservato dal bianco, vengono assegnati valori che, con l’apparenza di un corpo, non hanno niente a che fare. Un meccanismo simile, ad esempio, si può riscontrare quando lo sguardo maschile si posa sul corpo femminile assegnandole, immediatamente, una serie infinita di elementi psicologici e comportamentali che si basano sulla semplice apparenza.
La minaccia del corpo nero
Per collegare la scoperta di Fanon alla frase e all’argomento che voglio trattare dobbiamo prima comprendere un’importantissima questione. Affermare che i migranti non necessitano di aiuto in virtù del loro aspetto fisico implica due cose importantissime: 1) Chiunque, bianco, nero e marziano, necessita di aiuto solo nel momento in cui mostra sul suo corpo i segni della sofferenza. 2) Se i migranti fossero tutti denutriti o mutilati nessuno negherebbe loro aiuto.
La prima implicazione si confuta ovviamente da sola, mi concentrerò, quindi, sulla seconda. Un’affermazione del genere racchiude, prima di tutto, un piccolo paradosso interno. Se i migranti fossero denutriti o mutilati, infatti, neanche sarebbero in grado di giungere in Italia. Finirebbero tutti per morire nei primi giorni di viaggio. E’ quindi ovvio che coloro che riescono ad arrivare in Italia non sono “belli e muscolosi” in quanto non bisognosi di aiuto. Sono semplicemente gli unici che, fisicamente, si dimostrano in grado di sopportare la migrazione.
Appurata questa verità proviamo però a scordarla per un attimo. Giusto per mettere a fuoco il problema in questione. Supponiamo che una persona gravemente denutrita possa giungere in Italia esattamente come una persona che, al contrario, appare “bella e muscolosa“. Supponiamo che questi due gruppi di persone, inoltre, stiano scappando dalla medesima guerra nella medesima nazione.
Per quale motivo noi italiani, o europei, saremmo più propensi a donare il nostro aiuto a chi mostra sul suo corpo il segno della sofferenza?
Il primo motivo che salta agli occhi riguarda il fatto che, a livello psicologico, siamo propensi a riconoscere la sofferenza e il bisogno di aiuto solo quando il corpo sottolinea tale condizione. A riprova di questo, è molto più facile riconoscere le sofferenze di chi ha perso la gamba in un incidente rispetto ai drammi di uno schizofrenico o di un depresso. Questo motivo è sicuramente presente ma è facile rendersi conto di come non basti a spiegare il problema. Se la questione fosse “tutta qui“, infatti, basterebbe comprendere che la sofferenza non è necessariamente fisica.
Per spingerci oltre in questa analisi, e per collegarci alla scoperta di Fanon, è necessario porre una nuova domanda che, inizialmente, sembrerà strana: per quale motivo siamo più propensi ad aiutare un bambino in difficoltà rispetto a un adulto? La risposta è semplice. Perché il bambino è completamente indifeso, debole e innocuo. Ecco, lo stesso ragionamento viene fatto davanti alle immagini di un corpo nero mutilato, malato o denutrito. Esso è debole, indifeso, ma soprattutto, esso è innocuo, per nessuna ragione può essere pericoloso.
Dall’altro lato di questa affermazione, però, si nasconde l’agghiacciante meccanismo dello sguardo bianco che, il più delle volte, è incapace di dare a uno senza togliere, ingiustamente, all’altro.
Se il corpo nero denutrito è innocuo, infatti, il corpo nero che non mostra particolare sofferenza deve, per forza di cose, essere potenzialmente pericoloso.
Il motivo che spinge molte persone a criticare il corpo nero non sofferente, confrontandolo a tristi immagini di dolore e denutrizione sub-sahariana, è questa considerazione inconscia che vuole riconoscere nel corpo dei migranti un pericolo potenziale. Un pericolo, ovviamente, del tutto pregiudiziale ma percepito con la stessa realtà con cui, chiunque di noi, potrebbe riconoscere un coltello piantato nella propria schiena.
Questo è l’effetto del nostro sguardo. Uno sguardo che non si può limitare a riconoscere un corpo semplicemente per ciò che è, ma che deve, sempre e comunque, assegnare a quel corpo una serie di valori, comportamenti e giudizi che, in realtà, non hanno niente a che fare con lui.
Se il corpo nero non si mostra sofferente non necessità di aiuto. Ma se non necessita di aiuto, allora, può esser sicuramente pericoloso.
Andrea Pezzotta