Gesù è risorto. Il suo corpo ferito mostra il colpo della lancia sul costato. La resurrezione è portatrice di un’alterità dell’immagine di Dio che emerge attraverso la rivelazione di un corpo risorto, e che rimanda anche a quella trascendenza dei corpi che abita l’esperienza relazionale e che spesso dimentichiamo.
Quel taglio al costato, provocato dalla terza piaga inflitta dal soldato romano ai danni di Gesù per controllare che fosse effettivamente morto, ci conduce all’interno di un tema che riguarda il rapporto con il “corpo dell’altro”. Il corpo è un luogo di confine, di riconoscimento. Il riconoscimento di un altro corpo può essere rischioso, perché quando ci si avvicina troppo al corpo dell’altro si rischia che quel corpo divenga corpo abusato, sfruttato, negato. Da un lato vi è il rischio che il corpo dell’altro si senta oppresso, dall’altro lato sentiamo tutti il bisogno di toccare perché non si dia mai per scontato l’altro. Il corpo, infatti, è portatore di un’alterità che è sempre un corpo in relazione, come quello del Cristo risorto a cui Tommaso si avvicina con curiosità.
L’incontro con il “corpo dell’altro”: tra rischio dell’immunitas e desiderio di communitas
Quando io incontro l’altro, incontro innanzitutto il “corpo dell’altro”. Di fronte al suo corpo mi pongo in un rapporto di comprensione. Ma l’incontro con il corpo dell’altro, a volte, può essere esorbitante, invadente. Di fronte al corpo dell’altro può accadere di non sapere come comportarci. Come aprirci a un contatto senza rischiare di fare del male? Oppure, viceversa: può capitare di percepire che l’altro ci venga incontro come un rischio per noi di poter essere sopraffatti dal suo corpo? Quando siamo di fronte all’altro corriamo il rischio del contatto, ma se non esistesse questo rischio perderemmo anche la possibilità di essere sorpresi dall’altro.
Oggi si parla di immunitas, un concetto che si lega agli effetti di inclusione-esclusione-forclusione dell’altro tipici della logica immunitaria, per cui, in analogia con i sistemi biologici, costruiamo delle soglie immunitarie, culturali e sociali, che regolamentano in maniera più o meno violenta e contrastiva il rapporto con forze, persone, idee a noi esterne. Al tempo stesso, però, tutti abbiamo pur sempre bisogno di contatto, di relazione con corpi a noi esterni e percepiti come estranei. Poiché fin dalla nascita siamo un corpo, e più precisamente due corpi in uno, essendo legati al corpo della madre che lasciamo come nostalgia di un corpo sempre da ricercare nella nostra vicenda d’amore e di communitas. Questo desiderio di communitas che sempre percepiamo, come ha scritto il filosofo italiano Roberto Esposito in Communitas. Origine e destino della comunità, è piuttosto «un vuoto, un debito, un dono all’altro che ci ricorda anche la nostra costitutiva alterità rispetto a noi stessi». Cioè, ognuno di noi, essendo un corpo, è corpo anche per l’altro, cioè un corpo condiviso, relazionale, aperto agli altri corpi che a loro volta ci vengono incontro con il desiderio di scoprirsi, di mostrarsi attraverso la relazione con noi.
Toccare un corpo significa anche toccare le sue ferite
Non dobbiamo denigrare Tommaso perché vuole toccare il corpo trafitto di Gesù. Siamo tutti in quel gesto di curiosità di voler andare incontro al corpo dell’altro e toccare una ferita che porta con sé un dolore. Tommaso tocca la piaga del Cristo. Tutti proveremmo curiosità ma anche stupore, scetticismo di fronte a quella ferita.
Oggi quel gesto di toccare l’altro verrebbe considerato pericoloso perché quel dito non è disinfettato, non è pulito, e quella ferita rischia l’infezione. Il rischio che corriamo allontanandoci dall’altro è di una totale immunizzazione. Ma una totale immunizzazione rischia di generare una malattia autoimmunitaria, un corpo troppo protetto, privo del rischio e dell’incontro con l’altro diventa pericoloso per se stesso. L’infezione o il contatto con l’altro costituisce un pericolo, ma resta sempre un evento trasformativo. Il potersi toccare, il poter fare una carezza, il baciarsi, il dare la mano a qualcuno sono esperienze essenziali e procreatrici di scoperta, di disvelamento del proprio corpo, delle proprie emozioni a contatto con altri corpi. Tommaso si avvicina a Cristo toccando i segni di una ferita, di una passione d’amore e di sofferenza. La conoscenza dell’altro avviene anche attraverso la scoperta del suo corpo, lo sguardo sulla sua fisicità. Io sono il mio corpo, e viceversa: il mio corpo sono io. Io imparo a conoscermi in profondità quando il mio corpo entra in contatto con se stesso e con il “corpo dell’altro”. Il Cristo risorto è anche la rivelazione di un corpo altro, di un corpo che ha sofferto e riporta le sue ferite, le fa toccare e conoscere perché possano diventare “un dono per l’altro”.