Il Coronavirus è colpa delle lesbiche.
Lo hanno scritto davvero, a due ragazze di 24 e 22 anni che per molti dovrebbero vergognarsi. Martina ed Erika gestiscono un account sui social – leperledegliomofobi – nel quale mostrano l’amore che le unisce e rivendicano il loro diritto a vivere una relazione serena, senza per questo diventare bersaglio di insulti e minacce. Purtroppo, insieme ai tanti sostenitori, le ragazze sono incappate anche in un gran numero di haters. Il Coronavirus è colpa delle lesbiche, è una punizione che Dio manda per i tanti atti contro natura. È davvero questo il tenore dei commenti che appaiono sulla pagina, contraddistinti da un odio incrementato, sorprendentemente (o forse no), in questi mesi di emergenza.
C’è chi le chiama lesbiche di m***a, chi augura loro la morte o, peggio, minaccia di ucciderle, chi le accusa di essere degli scherzi della natura e svariati uomini, volgari ed evidentemente non particolarmente brillanti, che si offrono per sopperire a ciò che, secondo loro, mancherebbe nella sfera sessuale delle due ragazze. Salta subito all’occhio anche la pochezza sintattica e grammaticale dei commenti, a testimonianza che scritti del genere non possono che essere il frutto di una profonda ignoranza.
L’emergenza ha incrementato l’odio e reso impossibile denunciare.
L’odio non si è fermato, ma tutto il resto sì. Inclusa la possibilità, per noi, di denunciare. Abbiamo chiamato più e più volte i carabinieri, e ci hanno sempre detto di aspettare. Ora, finalmente, dopo quasi 2 mesi di reclusione, martedì potremo andare dai carabinieri. Anche se ci hanno detto che per gli insulti più vecchi, è troppo tardi. Passati 3 mesi, non si può più far nulla (o quasi).
In questi mesi abbiamo subito minacce di morte, minacce di stupro e tante altre cose.
Così scrivevano giorni fa Erika e Martina. Le due ragazze infatti non hanno potuto sporgere denuncia fino all’inizio della fase 2. Recatesi però finalmente presso la caserma dei Carabinieri di Arona (Novara), la sorpresa è stata ancora più amara. Pare infatti che i tantissimi insulti ricevuti non costituiscano un valido motivo per sporgere denuncia, almeno la maggior parte di essi.
Ma, ahimè, di queste, ne siamo riuscite a denunciare solo due.
Perché?
Perché deve esserci una MINACCIA sostanziale, o diffamazione.
Quindi, dire “mi auguro che tu muoia” o “vai a morire” non è perseguibile penalmente.
Dire “ti ammazzo” sì, è minaccia.
Il resto è “semplicemente un augurio”
Così scrivono le ragazze su Facebook, aggiungendo che per l’ingiuria si può agire in sede legale, ma la cosa rende necessaria la consulenza di un avvocato, che ovviamente bisogna potersi permettere. Le due spiegano poi che è stato loro detto che
non si può applicare il reato di discriminazione, in quanto non è contemplato per gli orientamenti sessuali.
Martina ed Erika ci ricordano, in una lettera pubblicata sui social, che il 17 maggio sarà la giornata contro l’omotransfobia e, nella speranza di una legge apposita, lanciano l’hashtag #lodiononvainquarantena, per potersi ribellare ad insulti e minacce.
In un momento delicato e difficile per tutti, quando ci si dovrebbe solo aiutare reciprocamente, storie del genere fanno accapponare la pelle.
Come e perché certi esseri umani, nel momento di maggiore difficoltà, si incattiviscano ancor di più sfugge alla nostra comprensione. Si può arrivare a temere così tanto l’intimità altrui? A considerarla una minaccia alla nostra comfort zone tanto da augurare la morte a qualcuno o addirittura minacciare di uccidere personalmente? Questi, e non l’amore tra due persone dello stesso sesso, sembrano ai nostri occhi comportamenti contro natura.
Mariarosaria Clemente