Il 19 luglio 1992 veniva assassinato per mano di Cosa Nostra il giudice Paolo Borsellino, che con il suo coraggio e impegno è diventato un punto di riferimento nella lotta alla mafia.
Una vita di lotta contro la mafia
Paolo Emanuele Borsellino nasce a Palermo nel quartiere La Kalsa, lo stesso dove vivevano Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta. Dopo la laurea con 110e lode in giurisprudenza, nel 1963 Borsellino partecipa al concorso per entrare in magistratura, e, con il punteggio di 57 è il più giovane magistrato d’Italia.
Nel 1967 viene nominato pretore a Mazara del Vallo e nel 1969 a Monreale dove lavora insieme a Emanuele Basile, capitano dei Carabinieri. Qui avrà modo di conoscere per la prima volta la nascente mafia dei corleonesi.
Il 21 marzo 1975 è traferito a Palermo, dove, sotto la guida di Rocco Chinnici, entra nell’Ufficio Istruzione Affari Penali. Con Chinnici si instaurerà un rapporto molto stretto, quasi di adozione, come sosterrà sua figlia.
Dal pool antimafia al maxiprocesso
Nel febbraio 1980 Borsellino, insieme ad Emanuele Basile, conduce un’indagine che porta all’arresto dei primi sei mafiosi. Tra questi vi sono Giulio e Andrea di Carlo. Il 4 maggio seguente Basile viene assassinato. Alla famiglia Borsellino sarà quindi assegnata la sua prima scorta.
In quello stesso anno si costituisce il pool antimafia, in cui, sotto la guida di Chinnici, lavorano alcuni magistrati tra cui Paolo Borsellino, Giovanni Falcone insieme a funzionari della Polizia di Stato.
Nel pool si evidenziano le qualità di Falcone e Borsellino, descritti dal collega Di Lello come
dotati di grande intelligenza, grandissima memoria e grande capacità di lavoro.
Il 29 luglio 1983 viene ucciso Rocco Chinnici con l’esplosione di un’autobomba. Il pool richiede una mobilitazione generale antimafia. L’anno dopo viene arrestato Vito Ciancimino, mentre Tommaso Buscetta inizia a collaborare con la giustizia, descrivendo accuratamente la struttura interna della mafia, di cui si conosceva ben poco.
Nel 1985 le stragi continuano e perdono la vita il commissario Giuseppe Montana e il questore Ninni Cassarà.
Falcone e Borsellino vengono trasferiti nella foresteria del carcere dell’Asinara, dove cominciano a scrivere l’istruttoria per il cosiddetto maxiprocesso, che indagherà su 475 imputati.
Borsellino, nel frattempo, rilascia diverse interviste in cui denuncia l’incapacità o la mancata volontà della politica di fornire delle risposte serie e convinte alla lotta antimafia.
La strage di Capaci
Il 23 maggio 1992 è Giovanni Falcone il bersaglio di un’esplosione di 5 quintali di tritolo, avvenuto nell’autostrada che collega l’Aeroporto a Palermo, all’uscita per Capaci.
La tragedia è immensa per l’amico e collega Borsellino, tanto da rifiutare il ruolo di super procuratore che il collega aveva appena assunto. Ma Borsellino continua la sua attività in nome del collega e amico e diventa uno dei principali investigatori dell’attentato. Rimane a Palermo per continuare a lottare contro Totò Riina, consapevole di essere l’obiettivo principale di Cosa Nostra.
Un attentato prevedibile
Pochi giorni prima di essere ucciso, Borsellino in un’intervista, aveva parlato della sua condizione di condannato a morte. Sapeva di essere nel mirino di Cosa nostra, aveva bisogno di massima protezione.
Tuttavia, il 19 luglio 1992, 57 giorni dopo la morte di Falcone, Borsellino stesso fu vittima di un attentato.
Dopo aver pranzato con la moglie ed i figli, il giudice si era recato insieme alla scorta in via D’Amelio a trovare la madre. Qui, una Fiat 126, parcheggiata vicino alla casa della madre di Borsellino, sulla quale erano stati messi 100 kg di esplosivo, fu fatta esplodere al passaggio del giudice. Nell’attentato, oltre a Paolo Borsellino, morirono cinque agenti della scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, intento a parcheggiare una delle auto e quindi più lontano dal punto dello scoppio.
Il coraggio di Borsellino e un popolo in lutto
I funerali di Paolo Borsellino si tennero il 21 luglio 1992, due giorni dopo la sua morte. Fu una cerimonia solenne e toccante che coinvolse migliaia di persone provenienti da tutta Italia.
La celebrazione si svolse a Palermo, la città natale di Borsellino, nella Chiesa di San Domenico. La cerimonia fu presieduta dall’arcivescovo di Palermo, monsignor Salvatore Cardinal Pappalardo, insieme ad altri ecclesiastici. La famiglia aveva infatti rifiutato i funerali di Stato, accusando il governo di non aver saputo proteggere il giudice Borsellino dopo la morte di Falcone.
Quel giorno la piazza antistante la chiesa, Piazza dell’Indipendenza, accoglieva circa 10000 persone, radunate per rendere omaggio a Borsellino e manifestare il loro sostegno alla lotta contro la mafia.
L’attentato ha avuto l’effetto contrario a quello desiderato dalla mafia, poiché ha scatenato una forte reazione pubblica e il coraggio di Borsellino ha rafforzato la determinazione dello Stato nell’affrontare la criminalità organizzata.
Borsellino è insignito della Medaglia d’Oro al valore civile con la seguente motivazione:
Esercitava la propria missione con profondo impegno e grande coraggio, dedicando ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la proterva sfida lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Nonostante le continue e gravi minacce, proseguiva con zelo ed eroica determinazione il suo duro lavoro di investigatore, ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di giustizia e delle Istituzioni.
La sua morte segnò una svolta nella lotta alla criminalità organizzata in Italia e il suo ricordo continua ad essere onorato come simbolo d’impegno nella difesa della legalità e del coraggio di Borsellino, stimolando una maggiore consapevolezza e un impegno più deciso nello sradicare la mafia e promuovere la legalità nel paese.