E se ci dicessero che l’Africa non è quell’empirico triangolo di terra rossa oltre le colonne d’Ercole in cui la felicità è un passo di Yabara? Se ci dicessero che quei sorrisi, fotografati da una camera occidentale con la messa a fuoco puntata solo su quello che ci autoassolve dal nostro privilegiato liberalismo, in realtà nascondono ferite profonde? Se ci dicessero che nella sterpaglia dei luoghi comuni più ingannevoli e fallaci ci sta proprio quello che vuole il popolo africano “contento, pur senza avere nulla”. Be’, lo ha appena fatto l’OMS, dichiarando che l’Africa ha il più alto tasso di suicidi al mondo. I dati analizzati dall’Organizzazione mondiale della salute mostrano una situazione critica: nel continente africano si suicidano circa 11 persone ogni 100.000 abitanti. Ed è un dato alto? È un dato molto alto, considerando che la media globale è di 9 persone calcolate sullo stesso campione. Nella sfavorevole classifica al contrario, quella puntellata da un podio nefasto, al primo posto troviamo l’Africa.
L’ingannevole proiezione occidentale occlude la realtà: l’Africa ha il più alto tasso di suicidi al mondo
Per attraversare l’Africa, attraversarla davvero, non bastano un paio di Aviator, un cappello stile bucket e una Leica appesa al collo. Misurarsi con il continente africano contempla la possibilità di vedere inappagate le aspettative di trascorrere quindici giorni tra sorrisi, balli scalmanati e voci gioiose e tuonanti. D’altronde, quella di traslare le proprie dottrine nella prospettiva dell’altro, è una prerogativa tutta occidentale e, ancor di più, europea. Narrare un mondo tanto remoto e suggestivo espandendo il diaframma di una fotocamera, rischia di distorcere la concretezza di una realtà propriamente inafferrabile.
Ancora di più, raccontarla attraverso scatti sfuggenti ed esteticamente perfetti, i cui soggetti sono gruppetti di bambini sorridenti e volti giocondi, non ci esula dalla necessità di approfondire un contesto denso di paradossi. Quello che per l’imperialismo dei privilegiati rappresenta una sottospecie di nostalgia per l’esotico, per la culla primordiale, là, dove anche l’essenziale diventa beneficio di pochi, c’è il dolore vero, palpabile. Il mal d’Africa, che pare affollare i ricordi dei turisti ritornati e, ancora prima, ha rappresentato lo sforzo sovraumano dell’italiano colonialista, nella terra ancora governata dalla legge del più forte, si traduce con il tormento più nero.
Sono africani sei dei dieci Paesi con i più alti tassi di suicidio al mondo
Nel grande palcoscenico delle tragedie umanitarie, compartimentate in classifiche nelle quali è auspicabile tenersi lontani dal podio, il continente africano occupa spesso un posto d’onore. Per quanto sia sorprendente trovare nel catalogo dei Paesi con alti tassi di suicidio isole notoriamente “felici”, come le Nazioni iperboree, non dovrebbe affatto meravigliarci il nugolo di Stati africani fermi ai primi posti. Nella top ten della macabra lista, rintracciamo ben sei stati africani, capeggiati dalla infelice Lesotho.
Nel minuscolo Paese enclave del Sudafrica, sferzato da una opprimente monarchia costituzionale e una generalizzata assenza di prospettive future, si registra un tasso pari a 87.5 suicidi ogni 100,000 persone. Medaglia d’oro, quindi, per il piccolo stato africano. A ruota, seguito dal Regno di eSwatini (ex Swaziland), che conta 29,4 suicidi ogni 100 mila abitanti, dal Sudafrica con 23,5 e dal Botswana con 16,1 ogni 100 mila residenti.
Mille modi per morire
Sconfessando, quindi, lo stereotipo dell’africano felice anche senza avere nulla, il continente continua a registrate tassi di suicidio crescente e sempre più allarmanti. L’OMS, dopo aver sollevato l’attenzione sulla questione, rende noti anche i metodi prescelti per porre fine alla vita. Tra i più comuni compiono l’impiccagione e l’avvelenamento da pesticidi. In misura poco minore, poi, si ricorre all’uso di armi da fuoco e l’annegamento. Un dato inizialmente sottostimato, ma che avrebbe già dovuto far scattare da tempo un campanello d’allarme, è l’abuso di alcol e l’overdose di droghe.
Sostanze alteranti consumate e abusate fino alla perdita dei sensi e che conducono, in fine, alla morte. Gli studi condotti dall’organizzazione mondiale della sanità, inoltre, chiariscono che i dati presentati sono alti e neppure fino in fondo realistici, considerando tutti quelli sommersi. A questi si aggiungono quelli tentati: su ogni suicidio portato a termine si contano 20 tentativi “non riusciti”. Risulta quasi ridondante specificare i motivi che rendono l’Africa campionessa di suicidi.
Fattori di rischio e contingenze di un allarme mondiale
Tra i fattori di rischio che maggiormente contribuiscono all’aumento dei numeri vi sono di certe le continue guerre civili che sconvolgono ciclicamente i Paesi. Si sommano a questi, rapidi e repentini cambiamenti del tessuto sociale e dell’anatomia antropologica. Il violento e aggressivo sviluppo economico, caratterizzato spesso dall’estrazione di risorse preziose e mai utilizzate dai “padroni di casa”, ha certamente prodotto comportamenti sempre più ambiziosi e bellicosi.
Senza contare poi la familiare povertà, la fame, le basse aspettative di vita, un welfare sociale praticamente assente, una sanità carente e la disoccupazione dilagante. Non da ultimo – anzi, potremmo addirittura poggiarla tra le prime cause del germe suicidario – l’incidente presenza di disturbi psicologici e l’assenza di una legislazione a riguardo.
Il diniego del diritto alla salute mentale e la sua incidenza nella classifica che vede l’Africa al primo posto per tasso di suicidi
Dopo i due tentativi di riforma avviati nel 2003 e nel 2013, a distanza di un ulteriore decennio, la Nigeria è finalmente giunta ad Mental Health Act, la prima legge sulla salute mentale approvata nel Paese con la densità popolosa più alta del continente. Sicuramente una svolta progressista, soprattutto se consideriamo che nello stesso Stato, vigeva ancora la Lunacy Act, approvata nel 1958. Secondo la “legge sui lunatici”, così venivano chiamate le persone affette da disturbi psichici, questi “diversi” dovevano semplicemente essere reclusi. Tendenza assolutamente endemica nel continente africano, nel quale anche la famiglia sospinge verso la segregazione e la stigmatizzazione dello “strano”.
Considerando che, poi, in alcuni Stati il disturbo mentale è considerato addirittura un reato, non sorprendono affatto i bassi investimenti riservati alla tutela psichica. La regione africana, possiede, infatti un solo psichiatra ogni 500.000 abitanti, dato inferiore di 100 volte rispetto agli standard minimi decretati dall’OMS. Mediamente, alla salute mentale i governi africani destinano meno di 50 centesimi della spesa pro. Per contro, le problematiche legate alla questione sfiorano l’11 % dei fattori di rischio legati al suicidio.
L’OMS lancia una campagna di sensibilizzazione
Dopo gli studi condotti dall’Organizzazione mondiale della salute, la stessa agenzia ha promosso una campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica al fenomeno dei suicidi in Africa. L’azione prevede la costituzione di un’ équipe di operatori sanitari specializzati nel sostegno di persone che hanno mostrato una tendenza a pensieri suicida. La campagna non si ferma solo ad attività di contrasto, ma si spinge verso la prevenzione, prevedendo momenti di sensibilizzazione allo stigma sociale associato al suicidio, ma anche all’abuso di alcol e droghe.
Dal punto di vista economica, l’organizzazione si è detta occupata a mobilitare risorse per il Kenya, l’Uganda, lo Zimbabwe, il Sudafrica e la Costa d’Avorio, suggerendo agli Stati di avviare, innanzitutto, una indagine sociale. L’obiettivo indirizzato a tutti gli Stati africani, il cui termine è stato fissato al 2030, è di adottare, finalmente, una legislazione nazionale sulla salute mentale.