Il consolo è un romanzo di Orsola Severini, edito da Fandango Libri e fresco di stampa (data di uscita: 28/10/2021).
Orsola Severini è una scrittrice italo-francese, nata a Roma nel 1981 e laureata in storia all’Università La Sorbona di Parigi. Ha vissuto in Argentina e in Perù, dove è stata volontaria in un orfanotrofio femminile, poi è tornata a Roma come organizzatrice di eventi e attualmente scrive per il quotidiano Globalist, mentre lavora come insegnante di francese. Il consolo è il suo primo romanzo pubblicato.
La protagonista
La Orsola protagonista de “Il consolo” è proprio la nostra autrice, che vuole raccontare la sua storia.
La storia di tutte le donne che in Italia cercano disperatamente, in ogni modo possibile, di capire nei forum cosa stia succedendo ai loro bambini e di carpire informazioni pratiche su come e dove abortire, perché nelle loro regioni l’aborto – anche quello terapeutico – è praticamente inaccessibile.
È la storia di una madre, che si scontra contro il muro degli obiettori di coscienza, che viene lasciata sola e giudicata perché decide di disporre liberamente del proprio corpo e perché prende l’unica decisione che ritiene possibile: quella di interrompere una gravidanza, desiderata all’estremo, per amore dei suoi figli – compreso quello che ha in grembo – perché realizza che suo figlio non sarà mai felice e che l’unica cosa che conoscerebbe sopravvivendo sarebbe una vita breve e piena di sofferenze.
Qual è la trama de “Il consolo”?
Orsola è una mamma trentaquattrenne, salutista, molto social e anche un tantino antipatica. Vive a Roma, ha due figli e un lavoro part-time che non ama particolarmente, ma la fa sentire la perfetta donna in carriera e le permette di stare dietro alla propria famiglia. L’unica cosa a cui pensa è alla prossima vacanza e alle foto della sua famiglia perfetta, che presto pubblicherà su tutti i social con gli hashtag più improbabili. La cosa che più desidera al mondo è il terzo figlio: nonostante sia stata educata da moderna femminista. La maternità è l’unica esperienza della sua vita ad averla fatta sentire finalmente piena e completa.
Questo quadretto idilliaco, e a tratti irritante, viene presto interrotto bruscamente da una scoperta: è incinta. Durante i primi controlli, scopre subito che il figlio che sta aspettando è gravemente malato e che ha scarsissime probabilità di sopravvivenza. Se pur nascesse, morirebbe immediatamente oppure – nel migliore dei casi – dovrebbe essere sottoposto a numerosi e interventi invasivi per poi avere una misera aspettativa di vita.
Orsola è chiamata a prendere la decisione più difficile della sua vita: portare avanti la gravidanza o interromperla con un aborto terapeutico. E deve farlo in fretta: ci sono tempi stabiliti per legge. Non era certo questo quello che voleva dalla vita.
Il muro dell’obiezione
Quando la decisione è presa, è solo l’inizio di un calvario. Credeva che decidere di abortire fosse la cosa più terribile che potesse capitare, ma capisce presto che la cosa peggiore è sentirsi giudicata per questa scelta da professionisti ospedalieri che non fanno “certe cose” e persino da altre donne, quando l’unica cosa di cui avrebbe disperatamente bisogno è un po’ di umanità e qualche indicazione pratica su come uscire da questo incubo. Non si sente più la “giovane donna celatamente arrogante” di qualche giorno prima.
Da questo momento, per lei e il marito, inizia una trafila nei vari reparti dell’ospedale, dal genetista alla psichiatra. È la Via Crucis di chi, in Italia, che sia costretto o voglia abortire, si ritrova a vagare tra strutture fatiscenti e inadatte, obiettori di coscienza e la mancanza di supporto o informazioni.
Quegli uomini e quelle donne che decidono di non obiettare – probabilmente per scelta ideologica, per fornire alle donne un servizio che dovrebbe essere garantito per legge – finiscono per fare praticamente solo interruzioni.
Un lavoro sporco, ingrato e decisamente poco interessante dal punto di vista medico.
Sono pochi, di una certa età e non hanno tempo di dare supporto psicologico alle donne.
Il consolo
Orsola affronta a suo modo il lutto imminente: tra sprazzi di riflessione profonda e continui flashback di quando era bambina, ricordando il padre, medico comunista affascinante ed egocentrico, la cui mancanza si fa sempre più sentire con l’avvicinarsi del fatidico giorno.
È proprio con la morte del padre che scopriamo una delicata tradizione calabrese, che presta il titolo al nostro romanzo: il consolo.
Non possiamo cucinare niente finché siamo qui in lutto, i fornelli non si possono usare per nessun motivo, neanche per un caffè e non possiamo assolutamente uscire, gli amici si organizzeranno per mandarci i pasti, per consolarci appunto […] il focolare di casa rimane spento come sono stati spenti i nostri cuori da questo immenso dolore.
Un libro di denuncia
L’aborto è un tabù in Italia e il consolo ce lo dice chiaro e tondo.
Questa autobiografia dovrebbe essere letta da tutti coloro cha si occupano di sanità o lavorano in ambito ospedaliero, specialmente da figure come i ginecologi. Ci permette di sapere quali sono i pensieri, le paure e le riflessioni di queste donne; pensieri forti e inimmaginabili da chi non ci è passato.
È un libro in grado di suscitare momenti di emozione e di rabbia verso simili ingiustizie. Perché é risaputo… la rabbia è un’emozione che stimola l’azione e questa è una situazione che deve essere discussa apertamente e cambiata. E’ una questione di salute pubblica.