Il concetto di contrappasso nella Divina Commedia

A Ravenna, nella notte tra il 13 e il 14 settembre di 700 anni fa, moriva Dante Alighieri. Diversi sono gli appellativi che gli sono dedicati. Autore della Divina Commedia e non solo, poeta, scrittore, padre della lingua italiana, filosofo, politico. Eppure io l’ho sempre pensato come il poeta del contrappasso.

La parola deriva dal latino medievale contrapassum, composto da contra, ‘contro’, e passus, participio passato di pati, ‘soffrire’. Nonostante il concetto di contrappasso sia stato utilizzato anche prima di Dante, tuttavia è grazie all’autore fiorentino che si esplicita in maniera tangibile.

Diversamente dalla legge del taglione, secondo cui la pena consiste nell’infliggere al colpevole la stessa lesione che quest’ultimo ha provocato alla parte offesa, per contrappasso la pena del peccato commesso si infligge alla persona stessa.

Il contrappasso dantesco, in particolare, si esplicita in due forme:

Dante intraprende il suo viaggio allegorico ultraterreno dall’Inferno, passando per il Purgatorio, fino ad arrivare in Paradiso. Dal mezzo del cammin della sua vita, fino a riveder l’amore che muove il sole e le altre stelle.

Anche se le cantiche sono totalmente diverse e distanti, tutte e tre sono costruite sul concetto di contrappasso. Se nelle prime due sembrerebbe scontato (in quanto all’Inferno le anime sono condannate per l’eternità e nel Purgatorio la condanna ha come fine l’espiazione), in Paradiso le anime vivono la loro purezza eterna, per analogia con le scelte e la loro vita terrena esemplare .

Il libero arbitrio

Va sottolineato, però, che il concetto di contrappasso è subordinato a quello del libero arbitrio. Per libero arbitro non s’intende la semplice libertà di scelta, ma l’importanza della scelta per il bene o per il male (a cui conseguono rispettivamente il merito e il demerito) e/o la necessità di schierarsi politicamente. E’ per gli ignavi che Dante prova un profondo disprezzo. A loro non spetta ne una pena all’inferno, ne una gioia nel paradiso, ma solo una condanna per l’eternità. Se in vita non si sono schierati né per il bene né per il male, allora dopo la morte sono costretti ad inseguire un’insegna bianca (ovvero la loro non decisione per pigrizia o per mancanza di coraggio) mentre vespe e mosconi li inseguono e pungono, e vermi mangiano il loro sangue e le loro lacrime.

Se il concetto di contrappasso dantesco così definito potrebbe combaciare in parte con le credenze religiose, tuttavia quello del libero arbitrio dovrebbe universalizzare l’aspetto che ne consegue. Tutte le persone devono scegliere, e non lasciare che qualcuno scelga per loro e per il loro destino. Tutti gli uomini sono chiamati al bene, e se esiste il male nel mondo non è perché gli uomini sono cattivi nel loro essere, ma perché quest’ultimi hanno scelto il male.

 

Jessica Di Biase

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