Niente è tanto british quanto una tazzina di tè. O forse no, visto che sul fondo di questa, si adagia la storia del commercio del tè. Una storia che, letteralmente, fa il giro del mondo.
Immaginarsi la regina e i suoi sudditi sorseggiare questa bevanda, al pomeriggio, è qualcosa che ci riesce estremamente facile. Ma non dobbiamo dimenticare che il tè proviene dall’India e, prima ancora, dalla Cina e lo zucchero invece da luoghi esotici come i Caraibi.
In Inghilterra, l’amore per il tè comincia a diffondersi nell’800, e questo amore così intimamente legato alla storia coloniale della nazione ebbe delle conseguenze storiche davvero rilevanti. In quel periodo, infatti, i beni di lusso iniziarono ad essere considerati non solo desiderabili, ma addirittura essenziali. Non a caso, nel 1840, la duchessa di Bedford introdusse il rito pomeridiano che tutti conosciamo.
La richiesta di tè crebbe esponenzialmente, ma le tasse governative rimasero alte.
Per questo si creò un traffico illegale della pianta, un vero e proprio giro di contrabbando, tanto che negli anni ’70 due milioni di kg di tè erano introdotti legalmente, e tre milioni clandestinamente. Solo nel 1785, viste le pressioni di mercato, si decise per un abbattimento dei dazi, e con esso il commercio illegale finì per morire.
Ma il commercio del tè è stato rilevante non solo per la questione del contrabbando: sono stati tanti i cambiamenti che ha apportato, dall’incentivare l’idea di produzione e consumo di massa, alla ristrutturazione dell’agricoltura in interi continenti.
Tantissime aree geografiche, soprattutto nel Nord dell’India e a Ceylon, centinaia di ettari di territorio furono riconvertiti alla coltivazione di questa pianta, e questo portò un incremento della mano d’opera sia di sesso maschile che femminile . Le donne, nella fattispecie, si occupavano di spuntare le foglie. La mano d’opera, va da sé, tristemente, era sottopagata.
Tutto questo era una parte del complesso meccanismo del commercio triangolare, lo specchio più fedele dello schiavismo della società coloniale. Le merci europee erano trasportate in Africa, gli schiavi africani in America e lo zucchero prodotto dagli schiavi in Europa. Solo nel 1833 si arrivò all’abolizione della schiavitù nelle Indie occidentali britanniche.
Quando si parla del commercio del tè, però, non si può non menzionare il fatto che arrivò addirittura a scatenare dei veri e propri conflitti bellici. E’ il caso delle due Guerre dell’Oppio, uno dei momenti più degradanti del colonialismo. Ma il tè fu utilizzato anche come strumento di controllo sociale.
Nell’Ottocento, in Inghilterra, i problemi sociali non mancavano. Uno dei più rilevanti era sicuramente l’alcolismo. Il tè era considerato una valida e salutare alternativa alla bevanda nazionale – la birra – e nuovo simbolo del carattere educato e rispettabile del popolo.
La storia di questa pianta assume delle tinte ancora più interessanti quando viene tirato in ballo addirittura lo spionaggio.
Ed è inevitabilmente associata al nome di Robert Fortune. Botanico scozzese, risedette per tre anni in Cina per conto della Società Botanica Inglese, nel periodo a cavallo tra le due guerre dell’Oppio. In quel momento storico, uno straniero che veniva trovato in Cina era punibile con la pena di morte. Ma Robert Fortune voleva che il suo tè prodotto in India fosse competitivo rispetto a quello prodotto in Cina, e voleva scoprirne i segreti. Per questo decise di assumersi ogni rischio. Si vestì con gli abiti tradizionali, si rasò i capelli come da tradizione, imparò la lingua, ma anche gli usi e costumi del luogo, dicendo di chiamarsi Shin Wah e di essere originario di una provincia oltre la grande muraglia. Scoprì alcuni grandi segreti, che trascrisse nel suo diario. Tra questi, che il tè verde e il tè nero derivano dalla stessa pianta, è la loro lavorazione a fare la differenza.
Scopriamo così che sorseggiare una tazza di tè caldo, può essere un salto nella storia e un giro intorno al mondo.
Sofia Dora Chilleri