Il caso Verra e la compravendita dei crediti di carbonio

Il caso Verra e la compravendita dei crediti di carbonio

 

Le inchieste su Verra mettono in luce le incongruenze problematiche della compravendita dei crediti di carbonio. Di cosa si tratta?

Verra è una delle più grandi organizzazioni non governative (ong) che si occupano di certificare le emissioni di anidride carbonica. Ha sede nella città di Washington e, nel mercato non statale, rilascia il 75% di tutti i certificati sulle emissioni di carbonio.

Il sistema di scambio di quote di emissione dell’Unione Europea (EU ETS) prevede che le grandi aziende monitorino e comunichino le proprie emissioni di CO2, assicurandosi che queste vengano coperte da progetti di risanamento ambientale. Grazie a questo meccanismo, molte multinazionali hanno potuto dichiarare grandi successi climatici negli ultimi anni. Un esempio è Gucci che dal 2018 si proclama completamente “carbon neutral”. Come lei, Apple, Volkswagen, Gazprom, Walt Disney e tante altre aziende fanno affidamento a Verra. Tuttavia, si è scoperto che l’ong ha venduto e concesso certificazioni di dubbia validità.

 

L’EU ETS e i crediti di carbonio

Il Protocollo di Kyoto ha stabilito la necessità di ridurre le emissioni di tutti i gas serra responsabili del riscaldamento globale. Tra le misure è prevista per le grandi aziende la possibilità di acquisire azioni compensative realizzate con progetti di riduzione delle emissioni. Essendo tra i gas serra la più abbondante in atmosfera, la CO2 è stata scelta come unità di misura. 

Su questi presupposti nel 2005 è nato l’EU ETS, il sistema di scambio di quote di emissione dell’Unione Europea. Funziona secondo il principio “cap and trade” e prevede un tetto massimo (cap) di anidride carbonica che le aziende possono emettere in aree determinate. Ogni tonnellata di biossido di carbonio emessa o riassorbita genera un credito di carbonio. Se un’azienda ne produce più di quanto consentito, acquisisce un debito che può essere sanato attraverso azioni volte a compensare l’inquinamento prodotto. Queste devono essere certificate e le certificazioni che ne derivano possono essere scambiate o commerciate (trade).

In genere questo meccanismo coinvolge quattro tipologie di attori: le aziende che pagano i crediti per riscattarsi dall’inquinamento di cui sono responsabili; i venditori dei crediti, tipicamente startup o società di consulenza che si occupano della compravendita dei certificati;  i responsabili dei progetti destinati a compensare le emissioni di anidride carbonica (ad esempio, piantando nuovi alberi); i certificatori che stabiliscono quanti certificati collegare a ciascun progetto. Tra queste funzioni, Verra ne gestisce due direttamente, certificando e vendendo i crediti, e una indirettamente, scegliendo i progetti.

 

L’inchiesta di Internazionale sul caso Verra

Un recente articolo di Internazionale riporta le testimonianze di Elias Ayrey, l’ex dipendente di una start up che si occupava di procurare alle aziende certificati basati su progetti affidabili. L’ecologo racconta che molti dei progetti su cui lavorava erano garantiti da Verra. Dato che la fotosintesi è il metodo più naturale di assorbimento della CO2, molti di questi prevedevano misure dedicate alle foreste. Come testimoniato più volte dall’ecologo, è proprio tra questi progetti certificati che si trova la maggior parte delle incongruenze




Molte delle nuove piantagioni di alberi destinate a coprire le emissioni di carbonio erano in realtà azioni tese a conservare boschi già esistenti. Di per sé questo non sarebbe un problema, ma la tutela delle foreste è un sistema rischioso. Perché funzioni è necessario che i boschi rimangano al loro posto per decine di anni. Se incendi, tempeste o deforestazioni distruggono gli alberi, l’anidride carbonica che conservano viene rilasciata nell’atmosfera, annullando ogni possibile beneficio per il clima.

Un problema ulteriore riguarda la dimostrazione che le foreste in questione sarebbero state distrutte se i certificati non le avessero salvate. Verra ha dato forma a diversi regolamenti nel corso degli anni, ciascuno con un metodo di calcolo specifico. I responsabili di progetto possono scegliere il regolamento che intendono applicare, optando di volta in volta per il più vantaggioso. In questo modo, l’ong ha fondato molte certificazioni su congetture sul futuro facili da falsificare. Per esempio, in uno dei regolamenti più usati si afferma che è sufficiente l’intenzione di abbattere un bosco per consentire l’emissione di certificati qualora il proprietario decida di non farlo.  È per queste ragioni che l’Onu aveva stabilito di non includere la protezione delle foreste tra i meccanismi di scambio dei  crediti di emissione previsti dal Protocollo di Kyoto.

 

I risultati di The Guardian

Insieme a SourceMaterial, un’organizzazione no-profit di giornalismo investigativo, e al settimanale tedesco Die Zeit, The Guardian ha di recente pubblicato un’inchiesta volta ad analizzare gli studi scientifici sui programmi di Verra per le foreste pluviali. Contro le smentite dell’ong,  solo pochi dei progetti relativi alle foreste mostrano prove effettive di tutela ambientale. Per vendere le quote, Verra ha sovrastimato le minacce di deforestazione per una media del 400% sui suoi progetti, producendo così un 94% di crediti di carbonio certificati che non comporta nessun vantaggio reale per l’ambiente

L’attuale crisi ambientale fa sì che ridurre le emissioni sia essenziale. Molte grandi aziende continuano a puntare sulla compensazione e i consumatori sono rassicurati dall’acquisto di prodotti a “emissioni zero”. Tuttavia, se il sistema presenta queste fallacie non ci sarà mai reale compensazione dell’inquinamento prodotto. Anzi, capita che le emissioni delle aziende aumentino sotto la legittimazione data dalle certificazioni. In questo contesto, Verra è centrale. Il fatto che possa farlo dettando le regole del mercato e rilasciando certificazioni fasulle mette in pericolo la validità dell’intero sistema.

 

Stella Canonico

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