Avete mai ragionato sulla funzione del carnevale? Analizziamo il carnevale di Bachtin, filosofo e critico letterario russo.
Cosa rappresenta il carnevale e perché lo festeggiamo ancora oggi? Prima ancora di diventare una ricorrenza legata al mondo religioso, il carnevale trasse le proprie origini dalle feste pagane romane. Il primo a riprendere questo concetto e ad approfondirlo fu Michail Bachtin. Il carnevale di Bachtin nasce da una necessità che accomuna tutti gli uomini, un bisogno naturale di ridere ed esorcizzare la realtà, frantumare la ciclicità del tempo.
Il carnevale di Bachtin
In particolare nel corso del Medioevo, la tendenza alla caricatura, alla satira dei costumi e le maschere erano creati appositamente per fungere da esempio e trasmettere messaggi. Il mascherarsi permetteva lo scambio di ruoli, il burlarsi di figure gerarchiche, la caricatura di vizi o malcostumi talvolta miranti a distruggere l’ordine ecclesiastico.
A questo proposito è emblematica la figura di Michail Bachtin, filosofo e critico letterario russo. Le sue pagine, in Dostoevskij, Poetica e stilistica, in merito alla potenza del riso e al ruolo del carnevale sono di straordinaria efficacia.
L’atmosfera carnevalesca dominava nei giorni di fiera, nelle feste della vendemmia, nei giorni di rappresentazione di miracoli, di misteri, ecc.; tutta la vita teatral-spettacolare del Medioevo aveva carattere carnevalesco. Le grandi città del tardo Medioevo (come Roma, Napoli, Venezia, Parigi, Lione, Norimberga, Colonia, ecc.) vivevano di piena vita carnevalesca in complesso per circa tre mesi all’anno (talora anche di più). Si può dire (con certe riserve, naturalmente) che l’uomo medievale viveva due vite: una ufficiale, monoliticamente seria e accigliata, sottomessa a un rigoroso ordine gerarchico, piena di paura, dogmatismo, devozione e pietà, e un’altra carnevalesca, di piazza, libera, piena di riso ambivalente, di sacrilegi, profanazioni, degradazioni e oscenità, di contatto familiare con tutto e con tutti. Entrambe queste vite erano legalizzate, ma divise da rigorosi confini temporali.
Una festa collettiva
Il carnevale di Bachtin è legato alla collettività è lo strumento per eccellenza con il quale eliminare le disuguaglianze sociali. Grazie ad esso, scompariva la paura di mostrarsi per ciò che si era, anche nella più totale bizzarria o stranezza.
Pensiamo, ad esempio, alla festa dei folli o festa asinaria, una celebrazione che avveniva nelle chiese medievali intorno al XII secolo nel periodo tra Natale e l’Epifania. In questa occasione gli uomini si travestivano da animali o da donne, eleggevano un falso vescovo ed eseguivano strane liturgie. Ad esempio come riportato dall’Associazione Culturale Le Tarot:
Veniva eletto nelle cattedrali un Vescovo degli Sciocchi. Egli celebrava una Messa solenne e dava la benedizione. Il clero mascherato danzava e saltellava nella Chiesa cantando canzoni oscene. Nell’altare, davanti al prete che stava leggendo il messale, i sotto-diaconi divoravano salsicce, giocavano a carte e a dadi e mettevano pezzi di suole di vecchie scarpe ed escrementi, al posto dell’incenso, nell’incensiere, cosi che l’odore puzzolente assaliva le narici del prete. Dopo la Messa tutti correvano, danzavano e saltellavano ovunque nella Chiesa, abbandonandosi ai più sfrenati eccessi, alcuni persino spogliandosi completamente. In seguito, si arrampicavano su carri pieni di escrementi che essi stessi trascinavano attraverso la città, colpendo con il sudiciume la folla che li accompagnava.
Ed infine, per concludere con le parole dello stesso Bachtin in L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale:
Il carnevale, in opposizione alla festa ufficiale, era il trionfo di una sorta di liberazione temporanea dalla verità dominante e dal regime esistente, l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù. Era l’autentica festa del tempo, del divenire, degli avvicendamenti e del rinnovamento. Si opponeva a ogni perpetuazione, a ogni carattere definitivo e a ogni fine. Volgeva il suo sguardo all’avvenire incompiuto.