Il carcere ha paura del verde e dei fiori

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Di Carmelo Musumeci


“Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori”

Ho raccontato a Anna di un giorno che ero stato al campo sportivo e avevo trovato una piantina di basilico e l’avevo presa. Poi avevo preso due pugni di terra e me li ero messi in tasca. Una volta in cella, avevo preso un barattolo di plastica, l’avevo riempito con la terra che avevo in tasca e ci avevo piantato il basilico. E poi avevo messo il barattolo fuori dalla finestra. Un paio di giorni dopo, durante una delle solite perquisizioni, le guardie mi avevano portato via la piantina, perché l’Assassino dei Sogni (come chiamo io il carcere) odia il verde.  Per anni mi sono chiesto perché a un detenuto sia proibito tenere nella sua cella un vaso con una piccola pianta da curare e annaffiare tutte le mattine. Non certo per motivi di sicurezza, dato che il vaso e la pianta sarebbero facilmente controllabili con il metal detector. L’unico motivo è che l’Assassino dei Sogni ha paura del verde e dei fiori.  L’ho racconta a Anna e lei ha deciso di domandarlo alla Ministra della Giustizia. Ecco la sua lettera:

Gentilissima Prof.ssa Marta Cartabia,

sono appena trascorse le tre giornate del 2° Festival dell’Economia Carceraria. Intense di emozioni, di scambi tra persone sensibili al mondo della detenzione. C’era chi vendeva libri scritti in carcere, poesie nate tra le mura, racconti di una malavita passata. C’era chi esponeva prodotti nati tra le mura delle Case circondariali, vestiti di tutti i colori di stoffe recuperate, vasetti di miele, mandorle e biscotti. Tutto profumava di libertà. Quella di un animo gentile che ha ritrovato la via e vuole gridarlo al mondo. E poi c’era un orto. Si, un orto in vaschette nato da semini diversi. Cresciuti con cure amorevoli. Era il banchetto che esponeva il frutto del progetto “Oltre l’Orto”. È stato il banchetto più fresco, colorato e visitato. Mille voci chiedevano, mille mani sfioravano, mille occhi scrutavano. Parlando con qualche ex detenuto ho scoperto che dentro alle celle è vietato tenere dei piccoli vasi di verde, anche solo piantine di basilico. Una domanda è nata dentro di me, non tanto spontanea direi più impetuosa: perché non si possono coltivare le piante in cella?

Basta un buon cuore che muova il vasetto di terra per ricevere quei pochi raggi di luce che filtrano qualche ora nella cella. Basta un goccio d’acqua ogni giorno. Qualche parola gentile che aiuti la crescita della piantina. Abbiamo tutto. Abbiamo esseri umani nelle celle che potrebbero occuparsi di tutto questo. Quel piccolo seme che dopo cure amorevoli regalerà un germoglio sarebbe una pennellata di verde tra le mura grigie. Porterebbe il buonumore nel cuore del detenuto e sappiamo bene quanto questo favorisca una detenzione costruttiva. Un’educazione supportiva e di rinforzo verso le azioni positive è quanto di meglio si possa offrire ad una persona che si è persa.

Esistono cuori gentili tra le mura di una cella come la sua sensibilità ben sa. Conosco le sue posizioni e le sue azioni in favore dell’educazione piena del detenuto. Un’educazione vera che trae origine dalla sua natura di “prendere per mano e condurre”.

La sua attenzione ai diritti dell’essere umano recluso è ammirevole e lasciando i piani intellettuali in cui lei è impegnata per attuarli, la riporto un attimo all’importanza delle piccole cose, dei piccoli gesti che minuto dopo minuto colorano e profumano la vita di tutti noi. Capiterà anche a lei di fermarsi un attimo dalla frenesia quotidiana e sorridere davanti ad un fiore sbocciato. Magari proprio di quella piantina che frettolosamente ha annaffiato ogni mattina. Ecco, chiedo solo questo, di poter portare questa meraviglia nelle buie celle dei nostri carceri.

So che non esiste un regolamento ma credo ci si possa lavorare, so che di piante ce ne sono molte ed alcune non officinali per natura ma che si possano distinguere. Non trovo dunque una spiegazione a questo interrogativo che non mi spinga a chiederle ancora ed a scriverle affinché si possa portare “luce” là, dove tutto è grigio. Dove non ci si meraviglia spesso ed invece si dovrebbe. Dove c’è vita da ricostruire.

La lascio con una citazione che so a lei essere molto cara dell’ex direttore del carcere di Santo Stefano Eugenio Perucatti “Filtrerà sempre un raggio di sole”.

…quel raggio di sole può portarlo lei…

Con stima,

Anna Tribuzi

Anna Tribuzi, dipendente presso l’Università degli Studi Roma Tre, laureata presso lo stesso Ateneo in Sociologia con la tesi Storia di una scelta. Percorso ragionato di un’esistenza possibile tra le possibili. Liberamente ispirata alla vita di Carmelo Musumeci. Attualmente iscritta alla Magistrale in Psicologia clinica e della riabilitazione. Mi occupo di infanzia negata, diritti alle storie e sostegno alla genitorialità attraverso il Progetto nazionale Nati per Leggere. Sono attiva nel dar voce a chi non ne ha poiché vive la reclusione dell’anima.

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